Questa storia inizia con una porta che si apre.
In fondo, in che altro modo potrebbe avere inizio la
mia storia?
Dico questo perché tutti gli eventi che hanno
stravolto la mia vita sono iniziati con una porta che si apre.
Dalla prima porta esce Clarissa, figlia di Margherita
D'Antoni, con l'apostrofo, e Francesco Buonantonio.
Mi sono sempre chiesta come si scrivesse il cognome di
mia madre: si scrivono maiuscole sia la "d" sia la "a" o
soltanto la "d"?
Corre l'anno 1990, è il più freddo 30 Ottobre che gli
anziani di famiglia ricordino in città.
Non voglio raccontare bugie sulla mia nascita: un
parto normalissimo, piango come tutti i bambini e, per fortuna, vengo al mondo
in perfetto orario, né troppo presto né troppo tardi, insomma, nulla di
speciale da menzionare in merito.
Dalla seconda porta entra Francesco, mio padre, ho
dodici anni e nella mia stanza sto facendo qualcosa di assolutamente normale
per una bambina della mia età;
Francesco, senza bussare, apre la porta facendo
tremare le finestre con lo spostamento d'aria, ha gli occhi lucidi, una mano
poggia sullo stipite della porta sorreggendo tutto il peso del suo corpo e
suggerisce che tra davvero pochi secondi gli servirà per slanciarsi nuovamente
indietro e andare via, l'altra mano stringe senza peso la maniglia ancora
abbassata e il suo busto varca la soglia mentre le sue gambe si nascondono
ancora nel corridoio di casa.
Posso giurare di sentirne a centinaia ma dalla sua
bocca non esce una sola parola.
Francesco richiude la porta slanciandosi nuovamente
indietro con la mano sullo stipite, proprio come avevo previsto, e il suono dei
suoi passi che si fa sempre più lontano in davvero pochi secondi è l'ultimo
ricordo che ho di lui.
Dalla terza porta esce Claudio, il mio primo
fidanzato, o almeno credo, ha diciassette anni, due in più di me; la porta è
quella dei bagni della scuola.
Anche per questo episodio non voglio raccontare bugie:
non mi stringe forte i polsi, non mi dà schiaffi sul viso né mi cinge il collo
con una mano.
Scelgo di seguirlo, consapevole del fatto che sto per
mettergli nella tasca dei jeans la mia verginità, cosciente del fatto che
questi jeans andranno in lavatrice e che la mia verginità sarà centrifugata
dritta nelle fognature insieme a tante altre dimenticate in tasca.
Sola, ritorno in classe per la lezione di latino, oggi
la professoressa Moneti spiega la quinta declinazione; mi siedo accanto a
Barbara, la mia amica del cuore e compagna di banco, lei si accorge che ho un
odore diverso, sento addosso i suoi occhi inquisitori, così tiro fuori dallo
zaino il cerone bianco, lo apro, con l'indice e il medio della mano destra ne
raccolgo un bel pezzo e lo distendo sulla mia faccia, dalla borsetta dei
trucchi tiro fuori il rossetto rosso e dipingo un abbondante sorriso sulla mia
bocca, poi prendo il blush, "to blush" in inglese significa
arrossire, e con il pennello mi do dei buffetti sulle guance; per finire tiro
fuori una parrucca riccia color arancione e ci nascondo dentro i miei capelli.
Il suono della tavoletta del cesso avvitata male che
schiocca la lingua a ogni colpo del bacino di Claudio è l'ultimo ricordo che ho
di lui.
Dalla quarta porta entra Margherita, mia madre, io ho
diciannove anni;
voglio dei soldi miei per comprare i tacchi che aveva
indosso Barbara per il mio compleanno; ho anche iniziato a fumare e non posso
continuare a scroccarle le sigarette ogni volta che usciamo.
Sono completamente nuda davanti il computer e la
webcam dipinge sullo schermo del monitor "L'origine du monde" ma la
mamma è amante di Gustave Courbet e si accorge che il quadro non è originale ma
una brutta copia.
Umiliata, sento ancora sul viso canali di pelle secca
che le lacrime hanno solcato a peritura memoria del mio peccato mentre dispongo
sul letto i pochi vestiti da portare via insieme a un paio di cornici, una
bambolina di pezza e un diario gualcito.
Trascino i passi lungo la strada per trasferirmi a
casa di Barbara, non so quanto potrò restare a dormire da lei, non so se avrò
il coraggio di raccontarle la verità: in fondo, temo ancora i suoi occhi
inquisitori.
Il suono delle grida di vergogna e delusione di mia
madre sono l'ultimo ricordo che ho di lei.
Dalla quinta porta esce Barbara, gridando senza
neanche guardarmi in faccia, ho ancora diciannove anni;
ho deciso di raccontarle la verità e lei, in un primo
momento, sembrava aver capito, sembrava aver accolto la mia sofferenza, il
patimento di un'anima sola che avrebbe tanto bisogno di una guida che le
indichi la strada per ritrovare sé stessa.
Quando non sapevo venire a capo di una questione, mia
mamma mi suggeriva sempre di dormirci su perché "la notte porta
consiglio", diceva;
il consiglio che la notte portò a Barbara fu di
allontanare al più presto quella persona che ormai, si era accorta, era
diventata troppo diversa da lei, molto più simile a una di quelle "donne
schifose che esibiscono la merce sul ciglio delle strade."
"Non ho più tempo per le chiacchiere, devo andare
a lavoro" mi sbraita contro, "stacco alle 17.30 e mi aspetto di non
sentire più nemmeno il tuo odore di troia in casa mia".
Il suono dei suoi tacchi, quelli che volevo comprare
anch'io, sono l'ultimo ricordo che ho di lei.
Dalla sesta porta entra Marco, un uomo sulla trentina,
mentre io ho sempre diciannove anni;
mi trovo nel vagone deserto di un treno per non so
dove, un gesto avventato frutto di orgoglio ma in cuor mio sento che ho solo
bisogno di fuggire un secondo per trovare il coraggio di tornare da mamma e
chiedere il suo perdono.
Mezzanotte è passata da una buona mezz'ora e anche per
questo episodio non voglio raccontare nessuna bugia: Marco mi fissa, si
avvicina, si presenta, mi stupra e scende alla fermata successiva.
Il suono freddo della voce registrata che annuncia la
fermata a cui è sceso Marco è l'ultimo ricordo che ho di lui.
Dalla settima porta esce Clarissa, non importa più
quanti anni abbia;
"Clarissa era una ragazza normale, sorrideva,
amava la vita" dice mia madre con la voce rotta al mio funerale.
Il suono della terra che viene spalata sulla tavola di
legno della mia bara è l'ultimo ricordo che ho di me.
Se qualcuno è arrivato in fondo alla mia storia spero
che ne conservi un ricordo e la racconti;
spero che la racconti perché il mondo conosca la
storia di Clarissa, una ragazza normale violentata dalla società prima che da
un solo uomo, e lo spero perché di Chiara, Martina, Francesca, Giovanna,
Alessandra, Agata e di tutte le altre ragazze "normali" le grida di
aiuto non siano l'ultimo ricordo che il mondo abbia di loro.
Federico Mosca
Racconto finalista del premio letterario Natale Patti - organizzato da Assocult Kaleidos, con AAS e FUS