Mia
sorella Rosa dice: ti pigli pensiero senza motivo, noi manco le quasette
avevamo quando eravamo picciridde.
Vero è, però allora non le avevamo né noi e
manco gli altri, e se qualcuno voleva fare lo sperto ci finiva male, attipo Onofrio
Cudduredda, che un giorno si presentò con un berretto di lana nuovo nuovo e
Totò Cornadura ci dette un pugno, glielo fece cadere di ‘ntesta, ci fece
scarpetta in una merda di vacca e glielo spalmò sulla funcia. Altri tempi. Ora
invece tutti hanno tutte cose, e per babba ci pigliano a Ginetta, che non ha il
cicciobello.
Il
fatto è che io per questa mia nipote c’ho un affetto esagerato, perché è una
bambina d’oro. A otto anni si può dire che si guadagna il pane, lavora fino
alle nove di sera senza dire ahi, no come quella lagnusazza di sua madre, che
alla sua età alle sette stava ancora a letto a dormire e faceva voci tutto il
giorno che voleva un vestito per l’inverno e uno per l’estate. Ginetta invece
non si lamenta mai.
Perciò
basta, ho deciso che quest’anno per Natale ci faccio il cicciobello che piange.
L’ho visto stampato sul giornale dove c’erano avvolti i pomodori, un pupo
grosso e biondo che pare Gesù bambino, che appena ci dai due colpi nel didietro
comincia a piangere come un nutrico vero.
Due
giorni prima della vigilia ci faccio vedere ‘stu pupo a Saviuccio, che ogni
mercoledì va a Bellolampo a fare il carico, e lui mi dice che me lo può portare
per tre chili di patate.
Alla
fine però mi deve ringraziare se ce ne do un chilo e mezzo, perché il pupo che
mi porta è sì grasso e biondo e c’ha gli occhi azzurri come quello del giornale,
ma ha pure un braccio tutto mangiato dai surci e soprattutto non piange manco
se ci infili le spingole negli occhi.
Mi
dispiaceva di darci ‘stu pupo inutile a Ginetta, e mi sfirniciavo su come si
poteva risolvere la cosa. Quando si dice il destino! Proprio allora piglia e
passa la zia Antò che come al solito si portava appresso il sacchetto dei gatti
randagi per andare ad annegarli nell’Oreto, e a me a colpo mi viene ‘sta bella
pensata.
Dopo
che ci ebbi cucito la panza, il cicciobello venne preciso come quello della
pubblicità. Bastava che lo ammaccavi un poco e il gattino cominciava a fare
voci di disperazione.
Ginetta
appena lo vide non si poteva tenere dalla contentezza, se lo annacava tutto e
stette tutta la sera a darci colpi, che non si saziava di sentirlo piangere.
Quasi mi venne da piangere pure a me, per la commozione.
Solo
che il giorno dopo era di nuovo tutta abbattuta:
“Gioia
mia” ci dissi “che successe? Non ti piace più il cicciobello?”
“Si
è rotto, nonna. Non piange più”.
Amore
della nonna. “Non si è rotto, babbaredda, si sono scaricate le batterie. Non ti
preoccupare, vatti a fare i lavori che ora la nonna te le va a comprare nuove,
vai”.
Letizia Lipari