Zio Pietro, con il cascione del nonno morto in mezzo alla
stanza da pranzo come dobbiamo manciare stasera? Ca’ mignazza il nonno se la
conservò per la vigilia di Natali per muoriri, che non ci venne la pensata che
ci avesse rotto i melloni d’inverno con questa moruta fuori tempo, vuol dire, u
picciriddu nasci e iddu si prenota u campusanto. Le cose sono due: o per la
vigilia ci manciamo un panino, oppure ci mettiamo un tavolone sopra il cascione
del nonno e cunzamo, ca macari macari u nonno sente il ciavuru ra pasta cu
bruaru di teste di capretto e attisa, resuscita.
Ancilina non era d’accordo, c’è troppo caldo e già ‘u nannò comincia a fetere, ha la pancia gonfia, che questi furono tutti i medicinali che si prese ultimamente - e intanto si arraspava il parpagghio. Insomma, Ancilina non era tanto d’accordo, e per convincere a tutti ci passò a dire di come le cascie da morto poi scoppiano. Cose di queste che si stavano vomitando tutti come i cani che ci resta l’osso affucatu in gola.
Che dobbiamo fare? – alzò la voce lo zio Pietro – non è che
possiamo pigghiare il cascione e lo mettiamo in mezzo la strada, la soluzione
si ci deve trovare, ca Natale è Natale e noi, fortunatissimamente, siamo vivi e
pure presi di pititto che lo stomaco pare orchestra del teatro massimo.
(La cena ci fu, il cascione del nonno morto fu messo sotto l’albero
di Natale, che le luci intermittenti ci illuminavano la faccia un poco di blu
un poco di rosso che il nonno pareva nella discoteca. ‘U bruaru di teste di
capretto venne bello bello, a tutti gli passò a sucare dal piatto; pure il
nonno morto ebbe la sua razione, che ci calarono un cuppino di bruaru nella
bocca che ci era rimasta aperta, che ad Ancilina ci venne questo pensiero, al nonno ‘u bruaru ci
piaceva assai.)
Giorgio D'Amato