Da piccola
ogni volta che vedevo il numero tatuato sul braccio di mio padre era il momento
di una nuova storia, sì, perché lui, affascinato dallo sguardo incuriosito di una
bimba innamorata della sua persona, inventava storie sempre a lieto fine. Da
grande le cose cambiarono, una sera d’estate eravamo tutti in giardino,
stranamente non mancava nessuno, moglie, figli, nipoti, generi e nuora. Mio
figlio per la prima volta vide quel numero, era tatuato all'interno del braccio
sinistro, piccolo e illeggibile. Nonno cos'è questo?
Io mi aspettavo un’altra
storia fantastica e invece il racconto questa volta prese una nuova piega,
quella della verità. Mio padre, ragazzo del 1917, parte per il servizio militare. Durante la sua leva scoppia la seconda guerra mondiale, ritorna a casa dopo
sette anni. Dopo i primi mesi di combattimento - all’epoca credeva in quella
guerra - fu preso prigioniero e portato in Grecia, in un paese di mare. Ma
arrivato in quella terra simile nei colori e nei profumi a quella che aveva
lasciato, prende coscienza dell’inutilità del conflitto bellico. Non
riesce ad identificare il nemico in quei giovani che, come lui, hanno un unico
sogno, trovare un buon lavoro e farsi una famiglia. Anche se prigioniero, per
poter mangiare deve lavorare, comincia a fare il pescatore. Ma la guerra arriva
pure in questo paesino sperduto sulle coste greche. I tedeschi fanno una retata
e tutti gli uomini del luogo vengono presi prigionieri, tranne i vecchi. Viene
portato in un campo di concentramento tedesco dove gli viene tatuato il numero
sul braccio sinistro. Quello che ha visto in quei campi non lo ha voluto mai
dire. In quegli anni di prigionia comprende una cosa importante: per salvarsi da
morte sicura sarebbe dovuto scappare da quel campo. Come fare? Lui, ragazzo bello, alto 1.80, occhi azzurri e capelli castano ramati, viene visto dalle SS come
potenziale collaboratore e lui accetta.
Questa è l’unica chiave per aprire le porte del campo di sterminio. Rimane il
tempo utile per organizzare la fuga, nel frattempo, rischiando la vita, fa il
doppio gioco aiutando i prigionieri. Riesce a fuggire, tra passaggi occasionali, e tanti chilometri, a piedi arriva in Italia. Qua la situazione non è
migliore, bombardamenti e battaglie hanno cambiato volto alle città. Le macerie
e la povertà rende le persone dei morti viventi, la fame non perdona nessuno,
per un pezzo di pane si può anche perdere la dignità. I tedeschi come cani
cirneco vanno a caccia di disertori per fucilarli. Papà, per evitare la
fucilazione, scappa sulle montagne e si arruola nei partigiani dove vive per un
lungo periodo. Svela loro notizie utili sui tedeschi dei quali conosce pure la
lingua. Sono passati mesi, anni, non ricorda più da quanto non vede sua madre,
la sua famiglia, il suo cavallo. Il suo pensiero è sempre quello, ritornare
vivo a casa, ma in certe circostanze capisce che non ce la può fare. Però
superati i momenti di crisi la sua volontà diventa sempre più forte e
determinata. Finalmente nel 1945 finisce la seconda guerra mondiale, ancora è
lontano da casa, ma non importa, ormai bisogna soltanto arrivare a Bagheria.
Caterina Guttuso