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lunedì 1 febbraio 2016

Quando eravamo soli

Le padelle le tiri fuori e poi non sai dove poggiarle. A volte capita di lasciarle per giorni sopra il frigorifero. Quando ti accorgi che le padelle sono come le tue orecchie sporche al mattino, forse hai capito cosa significa passare le tue giornate come se fossi un rimasuglio fetido di pesce scongelato più volte dopo essere stato rifiutato dalle branchie della gente. Capita che si esce, si organizza, si annuisce, si incontrano mucche. Capisci di avere incontrato una mucca quando ti salta addosso e comincia a vendere il proprio latte senza una licenza. Quindi sono io: indosso una camicia con le farfalle sbavate, un jeans che avrà venticinque anni, una canottiera di lino color piscio, calzini di terza mano, scarpe da lavoro rubate al nonno. 
Ci provo ad uscire ogni mattina ma il postino arriva e mi blocca: dice che non ho pagato l’acqua, caspita, l’acqua è gratuita, gli dico, l’acqua sì, il tempo no, mi risponde e poi se ne va. Io impreco, impreco, mi guardo intorno e vedo la vicina di casa che stende il bucato dalla finestra, non le sembra conformista?, urlo, hai i capelli sparpagliati, mi fa, quindi accetto la critica e vado avanti. Capita che mentre compro le sigarette qualche macchina mi passi accanto. Allora, mancano quarantacinque minuti alle dieci. Mi piazzo dietro un muro e mi sparo un po’ di metanfetamina. I progressi in fatto di cibo fanno paura: posso comprare la pasta e guardare la televisione. 
C’era questo signore, mi pare che si chiamasse Carlo, che prese ad ansimare alla vista di un gatto randagio, che hai?, faccio al gatto, noi no e lui sì, fa lui.
Di quella giornata non ricordo più nulla. Ho lavato quei piatti impregnati di formaggio e pomodoro, saranno stati lì due giorni, facevano davvero puzza. 

Emanuele Scaduto