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giovedì 28 gennaio 2016

La nudità del principe - Il gattopardo raccontato dalle cameriere


Io lo vidi attraverso la fessura, quella da cui paziente osservavo i movimenti del mio principe, attendevo seduta, immobile sullo sgabello basso, che egli terminasse il suo bagno, l’occhio vigile che attende a bisogni che non ci saranno. E’ alto il mio principe, il corpo è pieno di salute, forte, appena tanticchia morbido sui fianchi, i glutei beddi duri, di chi va a cavallo.
Avevo ascoltato distrattamente il dialogo con Padre Pirrone, non m’interessavano i lamenti di quell’uomo buono solo a tendere la mano (per una ragione o per l’altra, il porco), che me lo raccontavano le povere criate. Avevo visto però come sì era squatrato il mio padrone quando era uscito dalla vasca, masculo e marmurutu che manco una statua sull’altare maggiore. L’accappatoio al suo chiodo e le vesti immacolate di ricambio, perché il principe niente deve desiderare, ogni cosa è dove deve essere. Ed io qua sono, come un pezzo di sapone, la crusca per strigliarlo a dovere, il pomello della porta, lo specchio appannato. E io lo guardo senza desiderio e senza vergogna. Invece quella tonaca nera se lo guardò che gli salì agli occhi il verde veleno della bile, li socchiuse e mormorò un Gesù e Maria, ipocrita e favusu. Invidioso.
Ma che fa si spoglia? C’era mancato poco che io aprissi la porta del cammarino di comodo e mi scoprisse, mi tappai la bocca con la mano per soffocare lo stupore, il mio padrone era passato nella camera sua e lui? Si stava spugghiannu, ma quante sottane porta, carne morta non sente caldo, carne ferita da un cilicio, e chi lo avrebbe mai detto!
Eh padre, ne abbiamo peccati da scontare, penitenze da rendere.
Pirrone si spoglia, veloce, una sottana quasi l’affuca, poi si prende di coraggio e io lo vedo attraverso la stessa fessura, ma non è la stessa cosa di prima, la carne è bianca, molle, trema improvvisamente nuda e libera, alza una gamba, si appoggia alla vasca. Si ferma un istante prima di entrare, l’acqua lattiginosa, opalescente, ancora tiepida. L’aria odora di crusca e di una virilità che forse padre Pirrone vorrebbe appiccicarsi sulla pelle. Padre Pirrone, ahahaha, mi farà mordere le dita, mi troveranno assufficata dalle risate a gambe all’aria, morta in questo stanzino.
L’acqua ora s’intorbida la patina in superficie addiventa grascia, l’anima però un si po’ puliziari.
E guardalo come si accarezza, come sta annusando l’acqua. Eh no, il sapone no, non quello che il mio principe fa scivolare sul suo torace forte e ampio, sulla peluria dorata.
Padre Pirrone, questo è un peccato mortale. Prega pure. Segnati e scarnificati.
Mi ero alzata di scatto dallo sgabello, e il rumore improvviso fece sobbalzare il parrino, si sollevò e l’acqua andò da tutte le parti, poco ci mancò che non si allavancasse per terra, sulle sue robbe fituse e nivure. Uscì neanche che il demonio gli avesse morso il sedere, lo vidi infilarsi prima le scarpe con i piedi bagnati, affollarsi le vesti una sull’altra, pareva invasato, e allora mi misi a fare delle voci basse, così per scherzo a sussurrare, e vidi quei quattro peli radi e grigi sulla natura vecchia che gli si rizzarono, ma la natura morta restò. Si scantò buanu.
E allora sussurrai più forte e lui scappò come un surci di fogna, bagnato e lordo.
Si sarebbe beccato un malanno, pensai mentre cominciavo a pulire la vasca.


Adele Musso