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lunedì 4 aprile 2016

Lucio

Una lattina si schianta contro bicchieri in plastica un paio di tacchi sbattono sul parquet vicino alle portefinestra gli scarponi da sergente nazista non permettono di abituarsi ad ascoltare il respiro del terreno che spiaccicano. Le voci sono stecche di violino: “no perché il Presidente ha fatto bene a dirgli di non rompere i coglioni!”
Nessun dato una montagna di opinioni scalata da alpini in giacca e cravatta pullover e patta, aperta sulla stagione che alle nove del mattino ghiaccia e rende la trilogia un’unica botta di cui nessuno avrà memoria.
Altro botto della porta-finestra, il busto non ha una direzione le parole lungo il corridoio continuano a fruire, il passo non tiene alcun ritmo, la forza é sproporzionata rispetto alla frequenza, Lucio deve finire il proprio lavoro entro mezzogiorno e invece di sedersi infilarsi le cuffie e concentrarsi sul foglio da disegno A4, bianco, che lo attende da un paio di ore, diviene uditore di una disquisizione sui “protosfigati.”
Non saluta e dopo cinque secondi dà l’addio al relatore, uno spilungone collanina hawaiana occhi singaporiani taglio di capelli da comandante dei Marines. Lucio percorre il corridoio a passo reggae, le scale con ritmo hip-hop e nel cortile danza a ritmo techno; si ferma e inizia a marciare, poi correre, le finestre alte e larghe un metro e mezzo gli ricordano l’Inghilterra, Oxford e la sua campagna, quando aveva provato ad inseguire qualcosa tra i prati verdi le palestre il ponte il “ The Bridge” disco-pub ripieno di studenti stranieri il venerdì dove una sirena con la pelle squamosa quanto la coda lo aveva portato nelle profondità di Atlantide.
“ Ma che cazzo stai affà?”

Lucio attraversa Manica e Francia atterra nel sorriso a canotto di quel viso rotondo e  lentigginoso, da cui cade un fascio ordinato di capelli riccio castani, che sotto i raggi della prima mattina assumono la colorazione dell’ambra. Il loro incontro era avvenuto in un bar di artisti e artistoidi, un venerdì sera. Da quel momento si erano incrociati già diverse volte, all’università, prima di quel venerdì non l’aveva mai vista e quella stessa prima sera era rimasto lontano da lei; avendola notata con una bottiglietta di acqua in mano credeva che fossero differenti, che lei lo avrebbe trascinato dentro una spirale fatta di correzioni di analcolici, rifiuto degli alcolici e schiaffi dati come antistaminici. Poi, però, aveva scoperto che era proprio Lucio quello che aveva bisogno di una cura mentale.
“ Tanti   auguri   donna! Cerco... Ispirazione!”
I boccoli saltano finché arrivano ad accarezzare i capelli sudati.
Pam  pam contro PAMPAMPAMPAM.
Lo schiocco che segue è unico, profondo ed elementare.
“ Bastava chiede’...”
Gaia sorride, Lucio non si muove, le lascia le mani, il viso ha annullato ogni percezione climatica; lei si mette a ridere, si sposta lateralmente ancheggiando un paio di volte, finché un solco nel respiro congiunge passato e futuro.
“ Andiamo a mangiare un panino, magari, dopo lezione?”
“ Come no. Dove ci troviamo?”
“ Sotto quell’alberello, alle due e mezzo.”
“ Vabbene, a dopo!”
Lucio si sente una macchina, non è lui che si siede, fronte al muro, strappa il foglio di carta, scappa in atelier, si procura una tela, la dipinge di rosa e brucia, ne brucia il centro: il risultato è una specie di cratere, caldo come le sue guance, che ancora non si vogliono spegnere.

Roberto Zagarese