Nessun dato una montagna di opinioni scalata da alpini in giacca e cravatta pullover e patta, aperta sulla stagione che alle nove del mattino ghiaccia e rende la trilogia un’unica botta di cui nessuno avrà memoria.
Altro botto della porta-finestra, il busto non ha una direzione le parole lungo il corridoio continuano a fruire, il passo non tiene alcun ritmo, la forza é sproporzionata rispetto alla frequenza, Lucio deve finire il proprio lavoro entro mezzogiorno e invece di sedersi infilarsi le cuffie e concentrarsi sul foglio da disegno A4, bianco, che lo attende da un paio di ore, diviene uditore di una disquisizione sui “protosfigati.”
Non saluta e dopo cinque secondi dà l’addio al relatore, uno spilungone collanina hawaiana occhi singaporiani taglio di capelli da comandante dei Marines. Lucio percorre il corridoio a passo reggae, le scale con ritmo hip-hop e nel cortile danza a ritmo techno; si ferma e inizia a marciare, poi correre, le finestre alte e larghe un metro e mezzo gli ricordano l’Inghilterra, Oxford e la sua campagna, quando aveva provato ad inseguire qualcosa tra i prati verdi le palestre il ponte il “ The Bridge” disco-pub ripieno di studenti stranieri il venerdì dove una sirena con la pelle squamosa quanto la coda lo aveva portato nelle profondità di Atlantide.
“ Ma che cazzo stai affà?”
Lucio attraversa Manica e Francia atterra nel sorriso a canotto di quel viso rotondo e lentigginoso, da cui cade un fascio ordinato di capelli riccio castani, che sotto i raggi della prima mattina assumono la colorazione dell’ambra. Il loro incontro era avvenuto in un bar di artisti e artistoidi, un venerdì sera. Da quel momento si erano incrociati già diverse volte, all’università, prima di quel venerdì non l’aveva mai vista e quella stessa prima sera era rimasto lontano da lei; avendola notata con una bottiglietta di acqua in mano credeva che fossero differenti, che lei lo avrebbe trascinato dentro una spirale fatta di correzioni di analcolici, rifiuto degli alcolici e schiaffi dati come antistaminici. Poi, però, aveva scoperto che era proprio Lucio quello che aveva bisogno di una cura mentale.
“ Tanti auguri donna! Cerco... Ispirazione!”
I boccoli saltano finché arrivano ad accarezzare i capelli sudati.
Pam pam contro PAMPAMPAMPAM.
Lo schiocco che segue è unico, profondo ed elementare.
“ Bastava chiede’...”
Gaia sorride, Lucio non si muove, le lascia le mani, il viso ha annullato ogni percezione climatica; lei si mette a ridere, si sposta lateralmente ancheggiando un paio di volte, finché un solco nel respiro congiunge passato e futuro.
“ Andiamo a mangiare un panino, magari, dopo lezione?”
“ Come no. Dove ci troviamo?”
“ Sotto quell’alberello, alle due e mezzo.”
“ Vabbene, a dopo!”
Lucio si sente una macchina, non è lui che si siede, fronte al muro, strappa il foglio di carta, scappa in atelier, si procura una tela, la dipinge di rosa e brucia, ne brucia il centro: il risultato è una specie di cratere, caldo come le sue guance, che ancora non si vogliono spegnere.
Roberto Zagarese