“Spicciati, ca sta scurannu!”, le disse sua madre sulla porta.
Aveva le guance
rosse per il freddo e la corsa che si era fatta dalla casa di Nina fino a casa
sua. Le ore con Nina trascorrevano in fretta, a scuola succedevano mille cose e
nel racconto si mescolavano tutte, Nina passava da una cosa ad un’altra, con un
andirivieni che le dava lo stordimento, come quando si metteva sulla
carrozzella che la portava al mare - le materie, le compagne, le maestre, le
urla della bidella, le note sul registro – a Linetta della scuola piaceva
tutto, perfino le punizioni e la matematica.
Certo, diceva Nina, tu a scuola non ci vai.
“Chi bo’? un mi
putievi chiamari prima?”Certo, diceva Nina, tu a scuola non ci vai.
“Spiristi”, si
adirò sua madre.
“Spicciati ca’
sta arrivannu to’ patri…ancora i puipietti a’ fari!!!” la madre di Linetta
sembrava fuori di sé.
“Ma… già i luci
addumaru !”
“ U sacciu;
troppu taiddu fici!” La donna si muoveva agitata attorno al tavolo; Linetta
pestava i piedi mentre la madre annodava gli angoli della tovaglia bianca di
tela -come al solito aspettava l’ultimo momento prima di decidersi a mandare Linetta alla putia, ma alla fine si arrendeva
sempre.
Avrebbe perso
buona parte del guadagno. Ormai il peso della caciotta s’era ridotto rispetto
alla mattina, quando la tuma era ancora calda e pregna del siero di cottura e,
per giunta, il prezzo doveva ribassarlo, perché doveva pur guadagnarci qualcosa
”l’amalfitana” - come veniva chiamata in
paese la signora Pina, la cognata del poeta. Linetta ogni volta che ci andava
sperava sempre di incontrarlo, se lo ricordava con il basco ricamato e il gilè di velluto - come
quello che portava suo padre. Più di una
volta si era fermato a parlare con lei e le aveva promesso il suo ultimo libro
di poesie, le avrebbe pure dedicato una poesia, così le aveva detto – chissà se
se ne era ricordato - aveva parlato a lungo e lei gli aveva detto della
passione di suo padre per l’Orlando Furioso.
Le aveva parlato di quando era giovane come
lei, che in quella bottega ci aveva trascorso la gioventù, aveva scritto tante
poesie sul bancone della putia, pure di nascosto di suo padre quando lo mandava
sopra, nel soppalco e per questo non ne scendeva più; restava fra i salami e le
caciotte - lì, al fresco, aveva scritto
le sue prime cose. Ne aveva viste di cose in vita sua, aveva visto passare davanti
al suo bancone più di una generazione di baharioti, governi e regimi. Quando
voleva dire qualcosa a tutti, lo scriveva in dialetto siciliano. Una volta
Linetta aveva letto una sua poesia; la signora Pina gliela aveva mostrata dopo
che lei si era messa a “camurria”; le ripeteva che voleva leggere le poesie
perché lei gliene parlava sempre di questo cognato poeta, gli era pure
riconoscente perché l’aveva tirata su’ fin da bambina, quando rimase orfana dei
suoi genitori e lui e la sorella l’avevano accolta in casa e poi l’avevano pure
maritata.
Il
proprietario era lui, ma da qualche tempo nella putia si vedeva poco “sempre in
giro per i suoi affari e per la politica”, diceva lei.
La signora Pina
portava avanti la bottega da sola, con l’aiuto di un factotum che si vedeva
sempre trascinare pacchi e colli da una parte all’altra con un carrettino: dal
magazzino alla putia e dalla putia al magazzino; un piccolo ometto sempre
scalzo che, quando non aveva nulla da fare, dormiva nel suo carrettino sulla
piazza o davanti la putia come in un letto di rose.
La signora Pina e la madre di Linetta si
intendevano molto bene; erano della stessa pasta le due donne; determinate,
econome, “bahariuote chi pusa”, sgobbavano e bastava il tintinnio di qualche
moneta nella tasca del grembiule per farle tornare il buon umore.
“ Va ratti napittinata.”, disse la donna
mentre riapriva la porta per fare uscire sua figlia.
“Vabbè, vabbè,
rammillu. E’ tardu!!” Linetta prese la tuma avvolta nella tela; sua madre
l’afferrò per un braccio prima che questa scappasse via di corsa.
“Tavi a paiari
chissu e…natri rui!!” le urlò e le mise un biglietto fra le mani.
Linetta guardò il
biglietto stropicciato e vide che erano annotate le pesate della tuma, quella
che aveva portato alla putia due giorni prima e quello del giorno prima ancora;
sempre di sera, sempre all’ultimo momento, prima che arrivasse suo padre,
quando era sicura che non sarebbe venuto più nessun acquirente. Era pure meglio che suo marito non se ne
accaparrasse; in quel caso i soldi non li avrebbe visti proprio, neanche con il
cannocchiale; tutte quelle comari che, invece di andare alla putia a comprare
il formaggio o da lei, si rivolgevano a suo marito, speravano di tirare con il
prezzo; le conosceva bene lei - quattro
moine e due chiacchiere e suo marito ci cascava come un pollo. Lei invece era
un osso duro; lei non si faceva incantare -
Il suo lavoro era duro perché
cominciava all’alba, quando il sonno era dolce, che certe giornate avrebbe dato
chissà cosa per rimanere a dormire un po’ di più; ma niente, doveva mettersi in
piedi pure con la febbre.
Avrebbe potuto
salarla quella tuma. Poteva farne primosale, ma anche in quel caso i soldi li
avrebbe visti chissà quando. A lei quei soldi servivano subito; a fine
settimana avrebbe dovuto pagare le rate della pezza di lino che aveva preso per il corredo della
figlia maggiore, quella che era già fidanzata.
“ No! Io
u’ci dumannu! Rumani quannu vai no’ dutturi Stalloni ci passi tu, e ti fa rari!
Io m’affruntu”.
“ Ormai si
granni! Quann’è ca ta rapi sta vucca?”
Linetta se
lo strinse al petto come un bambino quel pacco e scappò via.
Prima di girare l’angolo si voltò a guardare
sua madre, ancora sull’uscio la quale la incitò: “Spicciati, spicciati e fatti
rari i picciuli”.
Linetta
camminava veloce, un passo dietro l’altro, senza rallentare per prendere fiato. Il vento
freddo di Febbraio le faceva volare i capelli scappati dalle trecce.
Le piaceva la signora Pina; quella donna
bionda con gli occhi chiari che da dietro il bancone della putia l’accoglieva
sempre con un sorriso. E chissà se Buttitta le aveva lasciato finalmente il
libro di poesie che le aveva promesso. Le piaceva la putia, piena di cose
buone. Lei a quell’ora era sempre affamata.
Le piaceva la strada ancora animata di gente.
Era felice di
rendersi utile; aveva ragione sua madre, non era più una bambina; alla signora
Pina avrebbe detto:” Mi deve pagare tutte tre le pezze di formaggio; a mia
madre domani servono i soldi! “
Ragionava ancora
così, e si faceva coraggio, mentre
saliva i gradini che la portavano sulla Piazza della Matrice illuminata dai
lampioni che sfilavano, fino in fondo, lungo il Corso principale formando un arco di luce sotto il cielo viola sbiadito - quando sarebbe uscita dalla
putia, quel cielo lo avrebbe ritrovato nero e pieno di stelle, poteva
scommetterci.
Attraversò in
fretta la piazza e si trovò davanti la signora Pina che stava tirando dentro la
sua bottega la merce che era rimasta esposta fuori tutto il giorno: le vasche
di baccalà e lo stoccafisso. Le due
porte della bottega erano ancora spalancate.
“A quest’ora vieni?”Tua madre aspetta sempre
l’ultimo momento!”
“Si, mi
dispiace…” bisbigliò Linetta.
“Ma quanto pesa?”
disse la signora Pina mentre continuava a tirare giù i salami che pendevano dai
ganci sull’uscio laterale.
“Non lo so, mi
può pagare subito?” disse Linetta tutto d’un fiato e con gli occhi sgranati per
lo sforzo e la meraviglia.
“Fammelo pesare!”
La signora Pina le passò accanto, prese
l’involucro, poi appena dietro il bancone l’aprì e passò in un baleno la tuma
sulla bilancia, piegò la tovaglia bianca e la diede alla bambina. Linetta la piegò ancora più stretta e se la mise
nella tasca del cappotto.”Il libro” disse, “me lo ha lasciato suo cognato il
libro?”
Lei non le
rispose.
“ Due chili e
venti, te lo devo pagare subito?” Linetta annui e sollevandosi sulle punte le passo il biglietto che le aveva dato sua
madre.
La signora Pina
prese il lapis e fece un conto veloce.
“Sei chili e
mezzo, fanno mille e trecento lire”, disse e senza guardarla aprì il cassetto e
cominciò a mettersi sul palmo della mano, una dopo l’altra, le lire poi si
piegò in avanti, allungò il braccio e passò le monete alla bambina. Le passò
pure un libricino celeste che aveva sulla copertina Cola Pesce.
“Tieni” disse,
“c’è pure la dedica”. Poi aggiunse – “mettitele in tasca! mettiti in tasca pure
il libro”; Linetta sgranò gli occhi e si riempì subito le tasche.
“Lo vuoi un
pezzetto di provola? “La signora Pina non la lasciava mai andare via senza
offrirle qualcosa. Prese il grosso coltello che stava sul bancone e tagliò un
pezzetto di provola sulla tavolozza , intanto leggeva in faccia a Linetta, il
desiderio di quelle mortadelle profumate di pistacchi, circondata dalle ceste
d’olive bianche e nere aromatizzate con il rosmarino e il peperoncino poggiate
sul pavimento, le svariate forme di formaggi sul bancone, tutti in bella mostra
davanti ai suoi occhi e al suo naso.
“Ora devo
chiudere, sbrigati! Tua madre ti aspetta.”
“Buona sera,
grazie.”
“Buona sera, vai
, e salutami tua madre.”
Linetta cominciò
a correre sulla Piazza, sotto il cielo stellato. Un volo sui gradini, una corsa
sulla strada, senza fermarsi fino a casa, con le mani strette dentro le tasche
del cappotto.
Rosa La Camera
Rosa La Camera
Estratto: A putia
del poeta