Mio
nonno non parla molto, dice buondì invece di buongiorno, indossa delle scarpe
che somigliano a delle pantofole, sono chiuse da una cerniera che arriva al
collo del piede, quando cammina, non lo senti arrivare. Non litiga, non si
lamenta, non gli interessa sapere cosa ci sia per cena. Ha lo sguardo algido
degli uomini con gli occhi celesti, i baffi erano biondi. Anche mia madre lo è,
algida intendo.
La
sera, alla luce di una lampada, mi da le spalle dalla scrivania di ciliegio,
sul tavolo invece, in grandi bacinelle di metallo, mette a mollo delle buste di
corrispondenza, (le compra) scioglie così la colla per recuperarne i
francobolli. Piccoli stagni. Usa pinzette lunghe e sottili, con pazienza e
metodo, separa la carta ancora umida.
Se
resto muta, sono a posto, non si accorgerà di me. M’ignora. Io calibro il
respiro, potrebbe volare via tutto. Nonno parlami.
Ci
sono anche mucchi di francobolli di colori e dimensioni diverse, tenuti assieme
da fascette larghe, a me sembrano tutti uguali. Gliene rubo un po’ e li
nascondo negli spazi laterali tra il frigo messo di sbieco e la parete, li tiro
là quando non mi vede nessuno, li recupero con calma, a me non interessano.
In
questa casa siamo in sei, c’è parecchio da fare, e l’accuratezza nelle pulizie
è un lusso. Nessuno sposta mai quel vecchio dinosauro.
Da
qualche giorno non sta bene, rimane a letto, ho sbirciato dalla fessura della
porta della sua camera, è su un fianco, dorme sulla parte sinistra del letto,
mi dà le spalle.
Mio
fratello ed io dormiamo nello stesso lettino, testa contro piedi, io con la
testa rivolta verso la porta della nostra camera minuscola, sovrastati da libri
vecchi, non ci sono finestre. La sera prima di addormentarci facciamo la conta,
vince chi resta sveglio. Quando dorme mi alzo e le cose dei grandi diventano
mie.
Annuso,
guardo, ascolto, tocco. Nessuno può dirmi cosa fare. Sono libera e tutto mi
appartiene. Quando mi rimetto a dormire la casa si vuota.
Sono
giorni che non sento: buondì. Approfitto della sua assenza per sfogliare i cataloghi,
osservo i colori, le forme, i disegni minuziosi, le cifre, le stampigliature,
mi piace sentire la carta ruvida e opaca che protegge le pagine, tra i
polpastrelli. Gli altri sono troppo occupati per accorgersi di me dei miei
traffici. Anni dopo scoprirò che il Gronchi rosa non è uno strano animale. Le
buste, ne leggo gli indirizzi, non conosco nessuno, sono tutte vuote. Peggiora,
il letto è vuoto.
Mia
madre indossa un maglione scuro aderente a collo alto, una gonna a righe larghe
orizzontali. Nessuno sente il bisogno di dirmi nulla, per me è sparito, come i
gatti che frequentano questa casa, forse è andato a morire da un’altra parte.
Da
quell’altra parte, c'è un altro tavolo, formica verde con gli angoli consumati
simile a quello su cui mia nonna passa a setaccio la ricotta, taglia i gambi ai
carciofi regalandomi il cuore tenero, un ripiano freddo pulito, delle sedie
rigide, un’altra camera da letto; chissà qual è il lato preferito, magari lo
stesso. Forse le sue parole le hanno portate in altre stanze ad altre orecchie,
i gesti sono rimasti vetrificati nelle bacinelle d’acciaio, l’acqua ormai ha
assunto un colore limaccioso.
I
francobolli senza valore sono rimasti qua.
Adele Musso