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giovedì 7 luglio 2016

Tutte le cose insostenibili rimaste per aria


La neve di tre giorni aveva schiacciato a terra tutte le cose insostenibili rimaste per aria, che adesso stavano ben acquattate nel sottosuolo. Lei ebbe voglia di gettare palate di terriccio per nascondere quella sporcizia, invece la terra era coriacea e aveva dovuto scavare.
Lui era andato a pesca e non era più tornato dal giorno prima della nevicata. Aveva detto che sarebbe rincasato quella sera, con o senza pesce. E voleva trovare la cena pronta. C’era stato un tempo in cui aveva cucinato per lui, con amore e con allegria; avevano condiviso i pasti con reciproca gratitudine.
L’aveva lasciato a frollare tre giorni sotto quella bella neve fresca che si era fatta sporca. 
Prima gli aveva tagliato la testa con una mannaia, rapidamente e senza impaccio, poi aveva aperto la vena nell’anca sinistra per far uscire il sangue, e con un ago aveva praticato un foro in una delle zampe, per poter gonfiare la pelle e spellarlo. Aveva tolto le interiora e l’aveva avvolto in una pezza bianca. Dalla finestra della cucina guardò fuori: nuvole lunghe come coltelli facevano a fette un sole anemico. Sul vetro osservò il riflesso della sua faccia: una bellezza divenuta irrilevante, dopo l’incidente.
Non era sicura se usare la ricetta di Ruperto da Nola, cuoco del re di Napoli, o quella ottocentesca di Brillat Savarin, con profumi più densi. Si disse che lui avrebbe apprezzato di più quella di Ruggero da Vicenza e le uscì dalla gola una risata lugubre. Così, lo recuperò da sotto la neve. Eliminò le zampe e infine lo mise per l’intero pomeriggio a marinare in un misto di acqua, erbe aromatiche e aceto, per togliergli il gusto di selvatico e ammorbidire le parti più stoppacciose.

Lo osservò in quel bagno putrido, esitante: le restava ancora la fuga, o la storia della fuga; ma non volle. Al tramonto, decise che era ora di farla finita e cucinarlo. Passò i pezzi nella farina e li fece dorare in casseruola con qualche cucchiaio d’olio. Nel frattempo aveva preparato un trito grossolano di carote, sedano, pomodori e prezzemolo. Aggiunse una piccola presa di cannella e l’alloro. Infornò per circa un’ora e mezza. Nell’attesa, aveva apparecchiato il tavolo con cura, con le candele dorate e i fiori di plastica, come quando si volevano bene. Lui rincasò senza pesci, lasciando entrare il gelo della sera. Aveva un che di soddisfatto negli occhi freddi. Lei fece finta di niente, lo aiutò a togliersi gli stivali e portò via il canestro vuoto. Aveva acceso il camino e lui avvicinò le mani. Sentì il profumo dell’arrosto e finalmente sorrise scoprendo un po’ i denti. 
Hai cucinato l’arrosto, come una volta.
Una volta era bello cucinare per te.
Una volta ero il tuo amore.
Una volta non c’era quella.
Quella chi? Quella che ti tira su la canna da pesca.
Non cominciare con le tue fissazioni idiote. Sono stato con Giorgio a pescare sul lago, per tre giorni nel capanno. Ma era tutto troppo gelato e non abbiamo preso niente.
Un accidente ! Io…ti aspetto… da tre giorni.Non stavi bene qui da sola ? disse lui, sarcastico. Se avessi avuto bisogno… Se fossi morta?
Questi miracoli non accadono. Non dirlo più.
Lei si rese conto che stava piagnucolando e si diede un contegno.
Insomma, siamo alla triangolazione del cerchio.
Quadratura. Si dice quadratura del cerchio, disse lui cercando di essere conciliante.
Hai capito benissimo cosa voglio dire. 
Non m’importa un accidenti di cosa pensi, e le si avvicinò sollevando la mano con l’anello. Poi annusò l’aria e divenne pragmatico: andiamo a tavola, sono affamato.
Metà del pasto si svolse in silenzio. A ogni boccone lui sembrava rasserenarsi e lei era contenta. Aveva preso la decisione giusta.
Ho aperto la bottiglia di vino rosso che tenevi per le occasioni, mi perdoni?
Hai fatto bene: è proprio una bella occasione, questa. L’arrosto è squisito. Morbido, gustoso e aromatico.
Tracannò un bicchiere di vino; se ne versò un altro, alzando il bicchiere per osservare il colore. Lo bevve con voluttà e se ne versò un terzo.
Lei era così contenta che gli lasciò terminare l’arrosto. Si limitò a bere due sorsi dalla bottiglia, asciugandosi con la manica la bocca sfregiata.
Poi lui si alzò, barcollando un po’ sulle gambe, e si distese sul divano battendo con la mano dei brevi colpi sul petto.
Su, Birillo, su, vieni qui.
Ma è qui, fece lei, subito sotto al tuo cuore.

Fabrizio Sapio