C’era un vento che
spostava i bambini. L’ultima volta era successo cinquant’anni prima, che
Fernanda aveva accompagnato suo figlio Pinello alla scuola materna, lo
accompagnava tenuto per mano e nell’altra il bambino aveva il suo cestino della
merenda, come si usava a quei tempi, l’orario che ci andavano tutte le mamme,
lei aveva un po’ di fretta che in quel periodo lavorava dall’Aurora, trattoria
per camionisti, nelle cucine, e anche quel giorno, lì di fronte al cancello
della scuola materna c’era un vento forte, che le altre mamme riparavano i
figli sotto la falda del cappotto lungo, che le foglie secche e la polvere di
strada non andassero negli occhi, i bambini si godevano quegli ultimi minuti di
ala chioccia, il vento creava dei mulinelli che superavano in altezza
l’inferriata della scuola, poi Fernanda s’era strofinata gli occhi con le dita
dopo una folata, che tutti si erano messi di spalle tranne lei, e quando era
passato il polverone suo figlio Pinello non c’era più accanto a lei e il sangue
le era salito alla testa e aveva cacciato un urlo che non lo vedeva più, e
s’era sentita chiamare mamma mamma, e suo figlio Pinello era finito sotto il
cappotto della signora Ferrante, quell’antipatica delle bomboniere, e
anche lei, Fernanda, s’era scoperta tra le ginocchia Carlino, il figlio di
Elsa, quello con le caccole al naso, che s’era subito guardata le calze sotto
l’orlo della gonna che non ci fossero le caccole appiccicate sopra, e come
Pinello e Carlino tutti gli altri bambini si erano mescolati tra loro,
scambiandosi le mamme, è stato il vento, dicevano, un vento così forte capita ogni cinquant’anni.
Raimondo Quagliana