Calogero non fare così che ti salisce la pressione, carmati,
lascialo che così l’ammazzi.
Intanto Gaetano scappava e Calogero l’inseguiva e facevano il
giro del tavolo. E Calogero gridava: se ti afferro faccio polpette di te. Per
metterti nella cassa da morto devono fare il puzzle.
Calogero aveva la prissione a tremila. Rosso, sudato, senza
fiato. Pensavo: magari ora muore. Ma quando mai? Stava meglio di me.
Quando si è calmato un poco e ha ripreso fiato ci ho
domandato: ma che fu? Che è successo?
E lui cominciò a bestemmiare di nuovo: quel frocio di tuo
figlio, io l’ammazzo, lo levo dalla circolazione. Però non gridava, me lo
diceva piano perché aveva paura che lo potevano sentire i vicini.
Io ero impietrita. Pensavo: chissà che ha visto.
E mi raccontò che mentre stava svuotando i cassonetti
dell’immondizia, ha visto a Gaetano chi sfilava a un corteo, lui dice di
carnevale, ma c’era scritto PRIDE. I suoi colleghi hanno riconosciuto a Gaetano
e ci dissero a Calogero: ma quello vestito da Raffaella Carrà non è tuo figlio
Gaetano? Che ci fa alla sfilata di carnevale a giugno in mezzo ai froci? Mi
hanno dovuto dare un poco d’acqua perché mi stava venendo uno svenimento. Io ci
ho detto che non era Gaetano, ma io lo so che era lui e cominciò di nuovo la
litania: che figura con i miei colleghi, se lo viene a sapere la mia famiglia,
se lo vengono a sapere i vicini, che figura. Ci dobbiamo nascondere per la
vergogna.
Intanto Calogero si accorse che io non dicevo niente, stavo
muta. Allora cominciò: tu lo sapevi e non mi hai detto niente. Ora me la prendo
con te e dopo mi butto dal Monte Pellegrino con tutta a lapa. Ma prima lo levo
di mezzo.
L’indomani Calogero telefonò ai figli per dircelo che ci
voleva parlare e che li aspettava la domenica.
Marina Montalbano