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lunedì 17 marzo 2014

Mercato del Lavoro e Restare Umani - Conversazioni sparse


I
- Devo essere motivato, devo farmelo piacere, devo averci la passione, devo essere spendibile, bisogna sapersi vendere.
- Hai deciso di farti strada nella vita?
- No, ripeto i Mantra dell’Orrore Contemporaneo.
- …
- Perché mi guardi così?
- Perché penso che, di questo passo, non farai mai strada nella vita.



II
- Mettiamo il mercato del lavoro…mettiamo il luogo psicosociale dell’azienda….
- Si
- Lì il problema non è quando i capi, o l’azienda, o il sistema, ti trattano come una merce.
- E quando è il problema?
- Il problema è quando tu ti percepisci come una merce, quando cominci a pensarti come una merce da piazzare nel mercato del lavoro.
- In pratica, dici, il problema è quando fai tua la mentalità dei capi, del sistema dell’azienda…
- Esattamente.
- E perché sarebbe un problema?
- Perché è lì che da umani ci trasformiamo in inumani. Quando ci pensiamo come merce e non come umani.
- Scusa, qual è la differenza tra una merce e un umano?
- …



III
- Io la penso così, invece. Se noi siamo sul mercato – e il mercato del lavoro è un mercato come tutti gli altri – allora siamo merce.
- Eh.
- Merce almeno in quel settore, certo. Ma il punto è che la nostra vita si manifesta anche in tanti altri settori. Per restare umani, bisogna percepirsi come umani soprattutto negli altri settori.
- E nel settore lavorativo?
- Meglio perderci le speranze. Nel 90% dei casi, ti ammazza l’umanità. Meglio concentrarsi su altro.
- Ma spesso la nostra vita si manifesta quasi esclusivamente nel settore lavorativo…
- Già, soprattutto quando il lavoro non c’è. Oppure quando il lavoro è una merda.
- Ben detto.
- Beh, bisogna fare in modo che non sia così. Il lavoro deve essere una parte del tutto. 
Una parte preferibilmente marginale, ininfluente.
- Una parola.
- Mica ti ho detto che è facile.


IV
- Però prima non era così.
- Prima quando?
- Prima. Quando non c’era il rischio di assorbire così tanto, dentro la testa, le logiche di mercato. Quando l’azienda aveva bisogno di controllare i lavoratori perché lavorassero, mentre ora invece – perché non c’è più il posto fisso e per tanti altri motivi – ora sono i lavoratori che devono dimostrare all’azienda che valgono. I lavoratori devono pregare l’azienda di tenerli con sé, di non licenziarli. E quindi: “essere motivati”, “farselo piacere”, “averci la passione”, “essere spendibili”, “sapersi vendere”.
- Questo è vero. È un bel capovolgimento, no?
- Si, con la flessibilità del lavoro, tutto è a carico del lavoratore, e quindi egli deve auto-strutturarsi, auto-costruirsi, in totale autonomia. L’azienda se ne fotte, e si prende il meglio, le energie migliori, senza aver bisogno di controllare, organizzare, formare.
- Si, è un bel risparmio, per l’azienda.
- Ma a livello psicologico, che succede?
- Che succede?
- Succede che l’azienda, da dominatore esterno ed esplicito, diventa dominatore interno al lavoratore. Diventa implicito, inconscio. Prima era un’entità potentissima, certo, ma almeno era visibile, riconoscibile, perchè al-di-fuori-di-noi, e dunque era possibile criticare, ribellarsi, lottare, in qualche modo. Adesso invece è diventata qualcosa di sfuggente e ipodermica, che agisce sottopelle, senza farsi notare. E che condiziona i nostri stessi modi di pensare, nel profondo dell’intimo.
- Forte.
- Adesso le sue logiche devono diventare le stesse logiche dei modi di pensare del lavoratore, altrimenti questi non avrà chance di poter entrare nell’azienda.
- Ti sembra terribile?
- Si.
- Eppure sembra essere questa La Libertà.

V
- Il mondo esterno è inumano. Denaro, capitalismo economia, globalizzazione. L’abbiamo creato noi, è un nostro manufatto, ed è inumano.
- Tu pensi che questo mondo esterno possa cambiarci?
- Mai come ora. Rischia di plasmarci definitivamente, di farci a sua immagine e somiglianza. Diventeremo uguali ad un nostro manufatti, pensa te, saremo come una zappa, un aratro. Saremo un treno a vapore.
- E perché?
- Perché il mondo esterno, questo manufatto, è diventato gigantesco, mai stato così gigantesco.
- E non si può fare più niente per cambiarlo? Dopotutto l’abbiamo creato noi.
- Cambiare il mondo è fuori moda. E poi, l’abbiamo creato noi, si, ma in generazioni e generazioni. Gli uomini sono morti, mentre il suo manufatto si è auto perpetrato ed è diventato quello che è diventato. Ogni generazione ha ereditato un manufatto che ogni volta arricchiva, arricchiva, arricchiva. Finchè questo è diventato ricchissimo, e potentissimo. Chi comanda ora? Gli uomini di potere hanno un qualche vero potere, o semplicemente fanno – senza saperlo – gli interessi di un manufatto stupido e inumano?


VI
- In fondo, cosa possiamo farci.

VII
- E cosa c’è da fare?
- Restare umani?

VIII
- E come si resta umani, visto che viviamo in un mondo esterno inumano, e questo mondo esterno minaccia la nostra umanità, e intanto non abbiamo la più pallida idea di come modificare questo mondo esterno? Lasciamo perdere di impegnarci nel mondo esterno, sapendo che il mondo esterno minaccia la nostra umanità, e ci occupiamo soltanto esclusivamente della nostra umanità? Curiamo noi stessi e nessun altro, mai e poi mai, perchè non vale la pena occuparsi di altro che da sè? Ma non è solipsismo, questo? Non è pure questo inumano?

IX
- Ma poi, che significa, esattamente, restare umani?

X
- Mi sembri rassegnato.
- Rassegnato, già. Passare in rassegna tutto quanto e rassegnarsi.
- Ma è la soluzione?

Nino Fricano