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giovedì 23 ottobre 2014

Balcone

La notte è calda, rovente e sui balconi c’è gente sveglia che cerca refrigerio. Sono le quattro e mezza.
Fuori, sull’uscio della casa a pianterreno c’è perfino Martina, la mia vicina, seduta con le mani in grembo e ogni tanto si fa vento con un pezzo di cartone. D’estate il marciapiede e perfino un buon pezzo di strada è il suo salotto; sorrido pensando a quanto spazio ha a quest’ora di notte, alle liti quotidiane che intraprende con chiunque abbia la pretesa di parcheggiare davanti alla sua porta.
Vago per la casa, potrei anch’io andare in balcone, ho voglia di guardare il cielo - deve esserci la luna - ma non voglio fare rumore alzando la serranda. Non voglio svegliare i miei figli, mio marito, che riescono a dormire nonostante il caldo, svegliarsi vorrebbe dire non dormire più.

Vado verso il frigo, ho bisogno di bere. Riesco a muovermi senza accendere la luce perché dalle fessure delle serrande passa la luce dei lampioni, si irradia su alcuni mobili.  Arrivo in soggiorno urto contro il divano, decido di metterci sopra un lenzuolo fresco e mi sdraio sperando di dormire ancora un po’. 
Inutile pretesa, ormai sono sveglia del tutto.
L’urlo soffocato della signora Martina segue il tonfo sordo e il rumore di lamiera. Salto in piedi prima ancora di capire, sono sveglia. Le voci fuori si moltiplicano mentre alzo la serranda con uno scatto, mi tremano le mani. Cerco Martina con gli occhi, la vedo dibattersi, si colpisce il viso con le mani, i fianchi, si piega su se stessa. Non capisco, non vedo altro. Cerco l’incidente ma non ci sono automobili per strada, solo auto parcheggiate davanti ai marciapiedi. Seguo il viso di Martina, guardo quello che lei sta guardando, cerco nella penombra, una ventina di metri più in là.
Sento un lamento, vedo un corpo riverso bocconi sul tetto di una macchina parcheggiata, urlo io e urlano altri dai balconi, qualcuno scende in strada, qualcuno grida - chiamate l’ambulanza, chiamate l’ambulanza!
Cerco il telefono ma non lo trovo al solito posto, non lo trovo, niente sembra più al suo posto, come se gli oggetti fossero stati tutti investiti da quel boato. 
Cercate, cercate - dico ai miei figli che si sono svegliati. Il telefono è in mano a mio marito, gli do indicazioni, non capisce, continua a chiedermi cosa è successo - non sono sicura, qualcuno è caduto giù, da un balcone - e lo trascino fuori, cerco di indicargli il posto, lui parla al telefono con qualcuno - è a terra, no, non è a terra – dice. 
Intanto qualcuno tira giù il corpo dal tetto della macchina. Restiamo pietrificati. Sento il suo lamento: qualcuno lo sta portando via. Non capiamo, siamo in attesa. Finalmente si sente da lontano la sirena dell’ambulanza che dopo qualche minuto entra in strada che si è già svuotata. L’ambulanza si ferma.
Le serrande si sono abbassate una dietro l’altra, anche Martina ha chiuso la porta della sua casa. L’ambulanza vaga un po’, anche dopo che un uomo dal marciapiede urla al medico - l’hanno portato via!.
Qualcuno impreca, mentre io resto a guardare perché non riesco a muovermi e ho male al petto.
L’ambulanza va via. La scena si svuota e nelle case non ci sono più finestre aperte, eppure si è fatto quasi giorno, i miei figli sono ritornati a letto. Io resto al balcone, poi entro a controllare la lavatrice, cominciano a transitare le prime automobili, si aprono i negozi. Sembra una giornata come le altre.
Decido di dare l’acqua alle mie piante, non riesco a lasciare il balcone, aspetto che si riaprano le finestre, la porta di Martina è aperta ma lei non si vede, decido di rivolgermi alla vicina che abita più in là, in prossimità della palazzina dove “deve essere accaduto qualcosa di terribile stanotte".
Anche lei non sa molto - il ragazzo non sta bene da un po’ di tempo – dice – forse si è buttato giù -.
Stamattina presto, dunque, un ragazzo di circa vent’anni ha cercato di morire e forse ce l’ha fatta. Io lo conoscevo, l'avevo visto tante volte uscire da quella casa, fermarsi fuori a parlare con gli amici, un ragazzo come tanti.
La macchina ammaccata, dove lui stava bocconi, non c’è più. Lui non si sa dov’è. Spero che qualcuno se ne stia prendendo cura.
L’aria è ferma, non si respira, ma i vicini non si affacciano. Quelli che non sanno cosa è successo qui, questa notte, entrano nei negozi e le macchine continuano a passare.
Sono rimasta a casa da sola e stendo i panni, sono ancora qui ad aspettare una risposta. La mia vicina, Martina, invece, è uscita, forse lei ci porterà qualche notizia.
Mio marito non mi ha parlato stamattina. Io voglio dare di nuovo l'acqua alle mie piante, oggi farà ancora caldo, meglio abbondare.

Rosa La Camera