Giornata sprecata; mi muovo per casa ma non riesco a concludere niente. D’altronde faccio quello che posso; le braccia riesco ad alzarle solo piegando il gomito.
Posso lavarmi il viso e le mani, niente di più. I cassetti meglio che non li apro, sarebbe uno sforzo spropositato, un azzardo – il chirurgo mi ha intimato di rimanere immobile per due settimane, ma io dopo tre giorni dall'intervento sono già in piedi e smanio dalla voglia di riprendere le mie abitudini quotidiane. Si vede che stai meglio, dice
lui; Maurizio mi ha guardata bene prima di uscire, mi ha detto che ho
una buona cera; l’ha detto con un sorriso tra il compassionevole
e il divertito – ha sbagliato, i lineamenti del viso dicevano altro,
vorrei capire cosa; anche dentro di lui qualcosa è andato via per
sempre – l’attrazione per me, il desiderio; potrebbe non essere
così? Faccio la fatica di mettermi nei suoi panni; non è
possibile, dunque non gli credo. Me lo ha ripetuto ancora - come se
ci fosse lui dentro questo corpo martoriato – stai bene. I vestiti
bastano; non si vedono le cicatrici e quello che manca presto potrò
sostituirlo; le protesi ormai funzionano molto bene. Sostituire
parti del corpo non è più una cosa straordinaria; si fa anche con
il superfluo; tolgono, aggiungono, senza lasciare tracce - la
chirurgia plastica è ormai una scienza medica affermata, le
richieste sono tante.
Io, no. Non l’ho scelto.
Devo considerarmi “complice” della
malattia che ha aggredito il mio corpo? forse. Quando ho capito che
qualcosa non andava, ho fatto finta di niente – cosa preparo per
cena? Ci siete tutti? Non voglio sprecare ore di lavoro sui fornelli
e poi, se va bene, ci ritroviamo solo io e lui davanti al piatto,
magari tutt’e due a seguire i pensieri nostri, a commentare in un
soliloquio testardo le questioni che ci affliggono, e che sarebbe
inutile provare a dire all'altro; tempo sprecato – meglio qualche
battuta lasciata cadere lì, innocua, sugli aromi che ho usato e
sul vino che ha preso lui al supermercato, ma che è costato poco ma
può andare bene – tanto neanche il pasto vale di più. C’era
questo da dire; se solo avessi pensato che parlarne potesse servire a
farmi stare meglio. Era meglio tacere; almeno fino a quando non
fossi stata certa che la cosa potesse risolversi; altrimenti perché? Sì, perché allora gli avrei chiesto di aiutarmi, di starmi
vicino almeno. Lui c’era, ed è stato pure bello il giorno che mi
trovavo con lui e mi hanno detto che avevo superato bene la prima
fase delle cure.
A pranzo vorrei preparare qualcosa di
cotto e mangiarlo con le mie mani, far finta di essere come prima.
Anche ora
preferisco non parlarne. Non parlare di niente; metto via le tracce,
sotto le mie foto - le ultime che abbiamo fatto per la gita alla
salina, la primavera scorsa. Bella giornata di sole, io con il mio
vestito leggero sotto il sole e il vento; i mulini nello sfondo, i
ragazzi insieme a noi, che giornata! Mi ricordo ancora il bacio di
quella mattina; una copia perfetta del nostro primo bacio. Meglio
mettere via tutto.
Rosa La Camera