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venerdì 8 aprile 2016

Anagramma di Moira

Erano fili neri lunghi e plastificati quelli che li tenevano uniti, una ragnatela, non una rete di salvataggio.
E adesso? Cosa ne sarebbe stato di loro? Adesso che la base di quell’impalcatura che avrebbe fatto invidia a un parto della mente di Renzo Piano, si era spenta, zittita, time out.
Tutti loro la riconoscevano con l’olfatto, sapevano quale shampoo usasse e quale balsamo ne domasse le vibrazioni, lei non lo cambiava mai, tranne quella volta che a causa di un banale guasto, il caravan adibito a magazzino-shampoo Moira era rimasto dall’altra parte dello stretto e aveva dovuto farsi prestare lo shampoo dalla donna cannone; la polvere da sparo aveva tratto in inganno le bestiole, i cani non si erano rizzati sulle zampette anteriori e le colombe avevano sbagliato formazione in volo, una addirittura le aveva deposto un uovo in cima alla testa e aveva cominciato a covarlo. Che voci aveva fatto la Moira. I clown avevano coperto la voce stridula entrando a trombe spiegate!
Oh, quale emozione per il pubblico pagante, prima arrivava il parruccone e poi lei, e le ali di gabbiano disegnate sopra gli occhi, cosa sarà stato morire con due punti interrogativi sulla fronte?
E adesso? Adesso le bestiole dopo un primo momento di confusione avevano compreso che non avrebbero più udito la vocina con l’accento romagnolo, quel cinguettio che ammoniva, accompagnato da una mano con lunghi artigli, perché lei era strega davvero e la voce era un falso come tutto il resto. Al circo non si ama, si frusta. Il circo non profuma, puzza.

Si ritrovarono d’improvviso in un circo muto, silenzioso, dove anche i cattivi odori sembravano depositarsi stanchi tra la sabbia e lo sterco. E in quel silenzio ebbero tempo e modo per accusare se stessi d’ignavia e di viltà. Capirono che avevano rinunciato tanto tempo addietro e si erano illusi di essere amati perché i colpi di frusta arrivavano da una mano imbellettata e da una voce suadente, ma in quella voce c’erano la lama sul ghiaccio, lo scudiscio sul cavallo con il pennacchio, la paura della vecchiaia. Bisognava riscattarsi, ritrovare il coraggio; l’elefante avrebbe alzato la zampa e usato la proboscide per stritolare, il leone avrebbe chiuso le fauci sulla testa dell’omino, certo che un animale drogato non è un animale pericoloso.
Non avrebbero mangiato, avrebbero finto di ingoiare il cibo, avrebbero barcollato senza essere drogati, erano abituati da anni di allucinogeni e dalla noia, dagli sguardi freddi e morbosi. Sarebbero riusciti a scrollarsi di dosso le sbarre e la veste del ridicolo?
Lo spettacolo del 24 dicembre era vicino, e sarebbe stato grandioso, diverso, adesso che l’impalcatura nera giaceva in fondo a un cumulo di terra e non andava in giro con quei grandi vestaglioni rosa confetto, le cose sarebbero cambiate, non c’erano più il ragno e neppure la ragnatela.
I più inferociti erano i barboncini, spruzzati con vernici tossiche per fare sparire qualsiasi imperfezione del loro mantello, avevano assorbito il veleno. Le più infide le scimmie, così simili all’uomo, di loro c’era poco da fidarsi. Stupida donna, ripeteva il cane più vecchio, i cani non sanno odiare, e lei è riuscita a non farsi amare, insieme a tutti quei ragazzini urlanti che ci prendevano in giro con i loro genitori annoiati e pretenziosi. Il Natale è solo lavoro in più per noi bestie.
I custodi attribuirono il silenzio degli animali, alla tristezza che attanagliava il campo, allo stupore per la morte della maitresse, qualcuno rideva nell’angustia del suo camerino viaggiante. Qualcun altro rubò i cuscini a forma di cuore dalla roulotte color dell’amore e li sventrò. L’invidia non muore, si trasforma in gommapiuma.
Era stabilito, sarebbe accaduto dopo il numero del cerchio di fuoco, quando la tensione sale che neanche coi trapezisti si prova più nulla, tanto se cadono c’è la rete.
Si erano esibiti tutti ed erano pronti dietro le quinte per la sfilata finale, per la pagliacciata generale.
Il segnale lo diedero le candide colombe che sfuggite alla nuova addestratrice (Moira era insostituibile) si collocarono al centro del tendone in alto abbastanza che tutti potessero vederle, in una formazione che nessuno aveva loro mai insegnato.
Le tigri capirono che era il momento e superato il cerchio di fuoco, non girarono per rientrare attraverso le fiamme, bensì si avventarono sui domatori, le cui fruste con le scariche elettriche, non funzionarono, le scimmie sapevano il fatto loro. La folla non comprese subito, perché soddisfare il gusto dell’orrido, è diventato difficile, qualcuno disse è un gioco, quello è pomodoro.
I clown trasformarono la loro maschera, furono i primi a comprendere.

Quando il tendone fu strappato da una schiera di animali inferociti, la folla si sollevò come corpo unico, la musica cessò di colpo per lasciare spazio al suono della paura, finalmente sotto il tendone sfilavano emozioni non addolcite da zuccherini nascosti nei palmi, sfilava l’emozione carnale. Le scimmie si avventarono sulla gente, i grandi pappagalli colorati aggiunsero striature rossastre al loro abito esotico, i cani ritrovarono l’istinto del lupo, ma furono gli elefanti intorpiditi da anni di gonnellini e pennacchi a caricare il pubblico barrendo da far tremare le panche e lo scheletro del tendone. I cavalli si pezzarono di rosso e fu l’inferno; qualcuno andò a cercare le carabine armate di narcotico, era troppo tardi, il panico aveva fatto il resto. Madri abbandonarono i figli, anziani caddero tra una panca di legno e l’altra scaraventati giù da giovani rapidi e impietosi. Il fiume delle bestie aveva travolto tutto. Qualcuno prima di essere incornato dal rinoceronte bianco, riuscì a leggere la parola che le colombe bianche avevano composto in aria, ormai, anagramma di Moira.

Adele Musso