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venerdì 22 aprile 2016

La scarpa giusta

Due calamite nello stesso campo di attrazione. Io di qua dal vetro, lui dall’altra parte, sul marciapiedi.
Portava il casco sottobraccio, un giubbotto nero da motociclista. Capelli lunghi e spettinati.
Da questo e dal suo sguardo indomito ho capito che, insieme, saremmo stati assolutamente bene.
Sì, mi fu subito chiaro: non sarei mai andata con nessun altro.


Ognuno ha la sua natura, ero fatta per una vita intensa, viaggi, scoperte... tutto in preventivo.
Se cercava una compagna per vivere grandi passioni beh, poteva anche smettere di rovistare tra gli scaffali del mondo, ero lì, mi aveva trovata.
Uscimmo insieme dal negozio dove, per la verità, non mi ero trattenuta molto.
Eravamo a inizio di stagione.
Una stagione che prometteva pioggia e brutte grandinate.
L’inverno, spesso, rincara la dose e nessuno potrà mai farci niente.
Finii in sella, dietro la sua schiena e non vedevo l’ora di insediarmi nella sua stanza dove progettare, sullo stesso letto, il giorno di domani e quelli dopo ancora.

Complice l’asfalto assestato male, continuavo a bussargli sulle spalle, ci scambiavamo così piccoli tocchi di presenza.
La passeggiata mi sembrava non finire mai, pensai avessimo già intrapreso un lungo viaggio, che non mi stesse portando a casa, e allora cominciai anche a fremere, eccitatissima. Ero curiosa di vedere lo scenario scelto, magari ci saremmo fermati sul bordo di uno strapiombo, da lì avremmo misurato la distanza raggiungibile con uno sguardo solo. 
Insieme, sebbene a incastro tra due date – visto che il per sempre non esiste – avremmo vissuto intensamente ogni giornata della nostra vita.
Andavamo con il vento in faccia incontro a quello sconosciuto che è il domani.
Ma non si arrivava mai e a un certo punto mi sentii come abbracciata dal nero di un’eclissi, il perché non saprei spiegarmelo.
Non riuscivo a capire se stessimo scendendo in un antro o stessimo risalendo un pozzo.
Il tempo che trascorse fu incalcolabile, mi pareva stessi ormai invecchiando.
Avevo quasi perso ogni speranza.
Quando lo rividi non lo riconobbi.
Non aveva più lo sguardo indomito, né il casco sottobraccio. I capelli rasati a zero.
La sua stanza puzzava quanto un ospedale.
Ci colse lo smarrimento.
Eravamo ancora noi?
Ci osservavamo muti, dolenti.
Ma... di nuovo quell'attrazione, quell'ineffabile cortocircuito che si innesca senza spiegazioni.
Solo nei suoi occhi, ancora, un tormento di domande.
A me venne facile mettere in piedi un itinerario nuovo, e non prevedeva solo quella stanza.
Sapeva bene che non ero tipo da rimanere in casa a piangere con lui.
Dunque: o lui con me oppure sarebbe stato meglio cedermi a qualcun altro.
Lo incoraggiai.
Fin dal primo momento avevo scelto lui.
Lui aveva scelto me.
Glielo promisi, gli avrei insegnato di nuovo a camminare.


Adelaide J. Pellitteri