Google+

lunedì 9 maggio 2016

Bendicò imbalsamato - Il Gattopardo raccontato dalle cameriere

Oggi è giornata di sbarazzo e pulizie. E mi dispiace.
Io che ho servito in casa Salina per settant’anni rotti, che ho lavato le mutande lunghe di Maria Stella e quelle macchiate gialle del principe, io che mi sono presa la valeriana quando fu del matrimonio di Tancredi, io che ho assistito a balli, balletti, tagliate di sacchi e svuotamenti di borsellini, io che ho guidato le operazioni di trasloco, che ho preparato biancomangiare con latte e acqua perché il latte non bastava, io che ho rammendato tovaglie e rigirato colletti, che ho ricevuto gli ospiti al buio per non far vedere i divani laceri. 
Io che oggi devo dare l’ultimo colpo di scopa a chi tanto mi fece disfiziare in vita, eppure c’ero affezionata, che fosse stato cristiano me lo sarei sposato, mi guardava con gli occhi nocciola e ci capivamo, pure che lui era cane e io no, ma quante cose ci siamo dette io e Bendicò, che quando lui è morto ho pianto come una vedova giovane, come una madre davanti al figlio preferito.
Lo imbalsamarono, così aveva voluto il principe, gli misero gli occhi di vetro, all’inizio mi sembrarono diversi, poi mi ci abituai. Gli parlavo come quando era in vita.
Quella, la custode dell’onore dei Salina, mi ha detto di buttarlo, levatemi questo cane fradicio che fa solo polvere, levatemi lui e questo casato di dosso, voglio morire Concetta, senza cognome.
Così ha detto.

Non sono stata io a lanciarlo dalla finestra, mi sono girata la faccia per non vedere, per me certe cose non si fanno.

Giorgio D'Amato