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martedì 10 maggio 2016

Gemma Donati


Mal riferì ne' il trattatello in laude a te, mio amato Dante. Disse ch’io non volli mai seguirti nel tuo peregrinare a questo mondo. Ancor meno volli venir laggiù, con te in esilio; che ti restai lontana in vita e morte.
Brutta visione avea Boccaccio di noi spose e di me in maggior misura, che giammai cambiò tal suo pensiero.
Non vide ciò che sotto gli occhi suoi splendea, il mio animo vivente: io tua dea.
Che tu, mio amato Dante, di Beatrice non avresti scritto, se non avessi avuto me come Madonna.


Io t’ispirai la vision celeste!
Poi - la stessa via seguendo - ti condussi dal cielo al più profondo abisso. 
Dei gironi oscuri e veritieri cosa mai avresti, tu, narrato al mondo?
Se pure, io nobile Donati, avessi tenuto la lanterna accesa e inumidito la penna nell’inchiostro nero e rassettato i fogli della tua perizia, lì - nella Verona antica che la tua mano mosse - la divin commedia non sarebbe stata meglio.
Io ero il foco che ti scaldava l’animo e l'inverno.
Ero nata illustre e tal rimasi fin quando non brillò la tua poesia. Peccato che l’allungar dei versi si fece ardente torcia, tal da incenerire ogni mia sostanza.
L’ultime rimaste le reclamai innanzi al giudice, appresso alla tua morte. In una mano le carte dell’esproprio, nell’altra l’elenco della dote, qual dono del mio signore e padre.
Dei figli tuoi, sol io mi presi cura, mentre tu con Beatrice, Virgilio e il becero Caronte, formavi ormai l’insolita famiglia.
Non io, ma Firenze ti respinse, con l’Arno e le due rive opposte a farsi guerra.




Di Gemma Donati si sa pochissimo, e di quel che scrive Boccaccio nel suo Trattatello in laude a Dante si dubita fortemente. Si sa che era nobile, e che dopo la morte del poeta si oppose presso le autorità fiorentine all'esproprio dei beni portati in dote con il matrimonio.

Adelaide J. Pellitteri