Google+

lunedì 30 maggio 2016

Casa Morella è un casino

Casa Morella è un casino. Sembra che la gente faccia parte di un fatto sociale discontinuo, che si può vedere nelle magliette estive attaccate come ragni alle grucce di quell'armadio aperto nell'angolo sinistro della stanza. I cani non esistono, abbiamo passato l’ultima mezz'ora della nostra vita cercando di inserire il codice di un bancomat che crea un angolo con la stazione. A venti metri o giù di lì una prostituta rifiuta un cliente. Si notano le posizioni dei cassonetti, e si nota con più vigore, questo è geometrico, l’agglomerato umano che strizza le braghe accusando una stanchezza patetica e straziante.
Con Carla ci salutiamo velocemente. Nella stanza in fondo a destra tiene appeso al suolo un tappeto che è una meraviglia, le ricorda la dimensione della polvere. Un bicchiere d’acqua, in questa serata calda, è una benedizione: c’è così silenzio che dico alla mia gola di fare meno rumore, Giulia legge un giornale. Dove abito io, non ho alcun bisogno di cambiare le lenzuola. E’ stato un disagio silenzioso, le dita dei piedi spostavano la coperta e i peli dei polpacci erano costretti a rimanere dritti, il freddo non ha risparmiato nemmeno loro. Avresti bisogno di vivere da solo per un paio di mesi, dice lei, e non posso darle torto. Mi sono immedesimato così tanto nella mia natura inetta che ho preso a rotolare senza sosta lungo tutto il perimetro della stanza per gli ospiti, porci allo sbaraglio. A mezzanotte e ventidue minuti mi addormento. La mattina è cosa industriale: otto o nove biciclette stanno storte attaccate ai pali. Altro che motorino, qui si fottono pure le biciclette. Le catene, per loro, sono cose da poco, dice lei. Le sedie sono comode, ma il tavolo è distante, e credo fermamente che la fatica non sia una cosa da poco, il muscolo tentenna. Dietro casa, un motorino sfreccia. Fra non molto devo andare, dico io, e pare che abbia detto, per conto mio, la frase più brutta di tutte. Mi faccio una pisciata in quel bagno marroncino e tiro lo sciacquone. Il sapone c’è e mi lavo pure le mani. Accanto a me una vasca, e credo di poter vedere, come tante piccole dame che aspettano il turno per un tuffo, i fatti essenziali della vita. E’ un attimo e oltre quel portone non esisto più, fuori c’è afa. 

Emanuele Scaduto