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giovedì 12 maggio 2016

Prima la destra, poi la sinistra

Guardo le mie scarpe e ne osservo le stringhe: sono così intrecciate che mi sale il mal di mare: perché incrociarsi in continuazione?
Dovrei allacciarmele, so bene che non dovrebbe essere difficile, e mi sforzo per trovarne cognizione in qualche zona della mia memoria, ma so che è ormai battaglia persa, che non riuscirò a trovarne traccia.

Per dire, l’altra sera me ne stavo placido e tranquillo a fumare la mia pipa, a dondolarmi sotto il portico e a guardare la bella luna tonda che qui è grande quanto un culo di elefante, quando da dietro lo steccato che divide i nostri due giardini, il mio vicino, un polacco fermatosi in paese per amore e rimasto poi agli arresti domiciliari, mi ha salutato e sorriso come si conviene a una persona a modo - ma di sicuro prima avrà sghignazzato insieme ai suoi figli a tavola, raccontandogli di me - premurandosi d’informarmi che stamattina io sarei passato davanti alla sua porta con il sacchetto della spazzatura, avrei superato i bidoni del nostro caseggiato senza averglielo gettato dentro, e proseguito il mio cammino oltre, verso il viale grande, con quell’ingombro sempre in mano.

La sua brutta moglie, che si affaccia svelta appena sente Jan parlare con qualcuno oltre lo steccato, ha aggiunto di aver allora immaginato che dentro a quel sacco nero ci stavo trasportando qualcosa di diverso dai rifiuti di ogni giorno: ci tenne a precisare - e qui rise sguaiata aumentando ulteriormente la sua distanza dal mio concetto di avvenenza - che era indecisa tra il mio tostapane guasto che non potevano più chiedermi in prestito e un paio di scarpe da fare risuolare. Invece dopo un quarto d’ora mi ha visto tornare ancora con quel sacco in mano, e arrivato davanti alla porta di casa mia, nel prendere dalla tasca la chiave, mi sarei accorto di quell’impiccio e solo allora sarei andato a buttarlo nel bidone che prima avevo ignorato.
A me non interessa tanto sapere se le cose siano andate davvero così come me le raccontano, quanto capire perché ci tengano a farmi sapere puntualmente di queste mie bizzarrie.Tuttavia li ho gentilmente ringraziati delle loro attenzioni, ed ho mentito loro confermando che avevo per davvero un paio di scarpe nel sacchetto, ma che lo zio Rosario mi aveva chiesto troppo per la riparazione, e avevo perciò preferito liberarmene; ero sicuro che avrebbero controllato se avessi detto loro la verità, ma di ciò al momento non m’importò un bel nulla.
Adesso quelle scarpe immaginarie le ho infilate ai piedi già da un po’, ma non sapendo come allacciarle, me ne sto seduto in cucina ad aspettare. Avrei dovuto farmele sistemare da quella brava donna che dorme nel mio letto, che di me si prende cura e che a volte sorprendo a singhiozzare. Avrei dovuto sposarla,e forse l’ho davvero fatto, ma di ciò non ho nessun ricordo, tranne un sentore vago di seni odorosi a cui mi devo essere aggrappato per amore, o forse per disperazione.
La vita è davvero feroce se mi pone in balìa di questi problemi, quando per vent'anni - e mi chiedo come mai questo io lo ricordi invece così bene - ho curato il magazzino di una società sportiva e di scarpini ne ho slacciati e riallacciati a centinaia per pulirli meglio.
Armadietto dopo armadietto, sempre gli stessi gesti, spazzola e grembiule, grasso e lucido da scarpe; e tutte allo stesso modo, prima la destra, poi la sinistra, settimana dopo settimana, per stagioni che si ripetevano, per anni e anni.
Io dico che a un pover'uomo certi gesti dovrebbero rimanere in mente a vita, cosicché anche un vecchio centenario come me potrebbe insegnarle a chicchessia.
Invece sono qui, ad aspettare che un nuovo paziente sorriso di quella donna finisca di squassare quel che resta della mia coscienza, ad attendere come un bambino che allacci per benino le mie scarpe,prima la destra, poi la sinistra, così che io possa uscire a gettare quel che resta di ieri.

Giuseppe Pippo Visconti