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giovedì 28 luglio 2016

A putia del poeta

Linetta arrivò correndo.
“Spicciati, ca sta scurannu!”, le disse sua madre sulla porta.
Aveva le guance rosse per il freddo e la corsa che si era fatta dalla casa di Nina fino a casa sua. Le ore con Nina trascorrevano in fretta, a scuola succedevano mille cose e nel racconto si mescolavano tutte, Nina passava da una cosa ad un’altra, con un andirivieni che le dava lo stordimento, come quando si metteva sulla carrozzella che la portava al mare - le materie, le compagne, le maestre, le urla della bidella, le note sul registro – a Linetta della scuola piaceva tutto, perfino le punizioni e la matematica.
Certo, diceva Nina, tu a scuola non ci vai.
“Chi bo’? un mi putievi chiamari prima?”
“Spiristi”, si adirò sua madre.
“Spicciati ca’ sta arrivannu to’ patri…ancora i puipietti a’ fari!!!” la madre di Linetta sembrava fuori di sé.
“Ma… già i luci addumaru !”
“ U sacciu; troppu taiddu fici!” La donna si muoveva agitata attorno al tavolo; Linetta pestava i piedi mentre la madre annodava gli angoli della tovaglia bianca di tela -come al solito aspettava l’ultimo momento prima di decidersi a mandare  Linetta alla putia, ma alla fine si arrendeva sempre.
Avrebbe perso buona parte del guadagno. Ormai il peso della caciotta s’era ridotto rispetto alla mattina, quando la tuma era ancora calda e pregna del siero di cottura e, per giunta, il prezzo doveva ribassarlo, perché doveva pur guadagnarci qualcosa ”l’amalfitana” -  come veniva chiamata in paese la signora Pina, la cognata del poeta. Linetta ogni volta che ci andava sperava sempre di incontrarlo, se lo ricordava con il  basco ricamato e il gilè di velluto - come quello che portava suo padre.  Più di una volta si era fermato a parlare con lei e le aveva promesso il suo ultimo libro di poesie, le avrebbe pure dedicato una poesia, così le aveva detto – chissà se se ne era ricordato - aveva parlato a lungo e lei gli aveva detto della passione di suo padre per l’Orlando Furioso.
 Le aveva parlato di quando era giovane come lei, che in quella bottega ci aveva trascorso la gioventù, aveva scritto tante poesie sul bancone della putia, pure di nascosto di suo padre quando lo mandava sopra, nel soppalco e per questo non ne scendeva più; restava fra i salami e le caciotte -  lì, al fresco, aveva scritto le sue prime cose. Ne aveva viste di cose in vita sua, aveva visto passare davanti al suo bancone più di una generazione di baharioti, governi e regimi. Quando voleva dire qualcosa a tutti, lo scriveva in dialetto siciliano. Una volta Linetta aveva letto una sua poesia; la signora Pina gliela aveva mostrata dopo che lei si era messa a “camurria”; le ripeteva che voleva leggere le poesie perché lei gliene parlava sempre di questo cognato poeta, gli era pure riconoscente perché l’aveva tirata su’ fin da bambina, quando rimase orfana dei suoi genitori e lui e la sorella l’avevano accolta in casa e poi l’avevano pure maritata.
 Il proprietario era lui, ma da qualche tempo nella putia si vedeva poco “sempre in giro per i suoi affari e per la politica”, diceva lei.
La signora Pina portava avanti la bottega da sola, con l’aiuto di un factotum che si vedeva sempre trascinare pacchi e colli da una parte all’altra con un carrettino: dal magazzino alla putia e dalla putia al magazzino; un piccolo ometto sempre scalzo che, quando non aveva nulla da fare, dormiva nel suo carrettino sulla piazza o davanti la putia come in un letto di rose.
 La signora Pina e la madre di Linetta si intendevano molto bene; erano della stessa pasta le due donne; determinate, econome, “bahariuote chi pusa”, sgobbavano e bastava il tintinnio di qualche moneta nella tasca del grembiule per farle tornare il buon umore.
 “ Va ratti napittinata.”, disse la donna mentre riapriva la porta per fare uscire sua figlia.
“Vabbè, vabbè, rammillu. E’ tardu!!” Linetta prese la tuma avvolta nella tela; sua madre l’afferrò per un braccio prima che questa scappasse via di corsa.
“Tavi a paiari chissu e…natri rui!!” le urlò e le mise un biglietto fra le mani.
Linetta guardò il biglietto stropicciato e vide che erano annotate le pesate della tuma, quella che aveva portato alla putia due giorni prima e quello del giorno prima ancora; sempre di sera, sempre all’ultimo momento, prima che arrivasse suo padre, quando era sicura che non sarebbe venuto più nessun acquirente. Era  pure meglio che suo marito non se ne accaparrasse; in quel caso i soldi non li avrebbe visti proprio, neanche con il cannocchiale; tutte quelle comari che, invece di andare alla putia a comprare il formaggio o da lei, si rivolgevano a suo marito, speravano di tirare con il prezzo; le conosceva bene lei -  quattro moine e due chiacchiere e suo marito ci cascava come un pollo. Lei invece era un osso duro; lei non si faceva incantare -  Il suo lavoro  era duro perché cominciava all’alba, quando il sonno era dolce, che certe giornate avrebbe dato chissà cosa per rimanere a dormire un po’ di più; ma niente, doveva mettersi in piedi pure con la febbre.
Avrebbe potuto salarla quella tuma. Poteva farne primosale, ma anche in quel caso i soldi li avrebbe visti chissà quando. A lei quei soldi servivano subito; a fine settimana avrebbe dovuto pagare le rate della pezza  di lino che aveva preso per il corredo della figlia maggiore, quella che era già fidanzata.
 “ No! Io u’ci dumannu! Rumani quannu vai no’ dutturi Stalloni ci passi tu, e ti fa rari! Io m’affruntu”.
“ Ormai si granni! Quann’è ca ta rapi sta vucca?”
 Linetta se lo strinse al petto come un bambino quel pacco e scappò via.
 Prima di girare l’angolo si voltò a guardare sua madre, ancora sull’uscio la quale la incitò: “Spicciati, spicciati e fatti rari i picciuli”.
 Linetta camminava veloce, un passo dietro l’altro, senza  rallentare per prendere fiato. Il vento freddo di Febbraio le faceva volare i capelli scappati dalle trecce.
 Le piaceva la signora Pina; quella donna bionda con gli occhi chiari che da dietro il bancone della putia l’accoglieva sempre con un sorriso. E chissà se Buttitta le aveva lasciato finalmente il libro di poesie che le aveva promesso. Le piaceva la putia, piena di cose buone. Lei a quell’ora era sempre affamata.
 Le piaceva la strada ancora animata di gente.
Era felice di rendersi utile; aveva ragione sua madre, non era più una bambina; alla signora Pina avrebbe detto:” Mi deve pagare tutte tre le pezze di formaggio; a mia madre domani servono i soldi! “
Ragionava ancora così, e si faceva coraggio,  mentre saliva i gradini che la portavano sulla Piazza della Matrice illuminata dai lampioni che sfilavano, fino in fondo, lungo il Corso principale  formando un arco di luce sotto il cielo  viola sbiadito - quando sarebbe uscita dalla putia, quel cielo lo avrebbe ritrovato nero e pieno di stelle, poteva scommetterci.
Attraversò in fretta la piazza e si trovò davanti la signora Pina che stava tirando dentro la sua bottega la merce che era rimasta esposta fuori tutto il giorno: le vasche di baccalà e lo stoccafisso. Le  due porte della bottega erano ancora spalancate.
 “A quest’ora vieni?”Tua madre aspetta sempre l’ultimo momento!”
“Si, mi dispiace…” bisbigliò Linetta.
“Ma quanto pesa?” disse la signora Pina mentre continuava a tirare giù i salami che pendevano dai ganci sull’uscio laterale.
“Non lo so, mi può pagare subito?” disse Linetta tutto d’un fiato e con gli occhi sgranati per lo sforzo e la meraviglia.
“Fammelo pesare!”
 La signora Pina le passò accanto, prese l’involucro, poi appena dietro il bancone l’aprì e passò in un baleno la tuma sulla bilancia, piegò la tovaglia bianca e la diede alla bambina. Linetta  la piegò ancora più stretta e se la mise nella tasca del cappotto.”Il libro” disse, “me lo ha lasciato suo cognato il libro?”
Lei non le rispose.
“ Due chili e venti, te lo devo pagare subito?” Linetta annui e sollevandosi sulle punte  le passo il biglietto che le aveva dato sua madre.
La signora Pina prese il lapis e fece un conto veloce.
“Sei chili e mezzo, fanno mille e trecento lire”, disse e senza guardarla aprì il cassetto e cominciò a mettersi sul palmo della mano, una dopo l’altra, le lire poi si piegò in avanti, allungò il braccio e passò le monete alla bambina. Le passò pure un libricino celeste che aveva sulla copertina Cola Pesce.
“Tieni” disse, “c’è pure la dedica”. Poi aggiunse – “mettitele in tasca! mettiti in tasca pure il libro”; Linetta sgranò gli occhi e si riempì subito le tasche.
“Lo vuoi un pezzetto di provola? “La signora Pina non la lasciava mai andare via senza offrirle qualcosa. Prese il grosso coltello che stava sul bancone e tagliò un pezzetto di provola sulla tavolozza , intanto leggeva in faccia a Linetta, il desiderio di quelle mortadelle profumate di pistacchi, circondata dalle ceste d’olive bianche e nere aromatizzate con il rosmarino e il peperoncino poggiate sul pavimento, le svariate forme di formaggi sul bancone, tutti in bella mostra davanti ai suoi occhi e al suo naso.
“Ora devo chiudere, sbrigati! Tua madre ti aspetta.”
“Buona sera, grazie.”
“Buona sera, vai , e salutami tua madre.” 
Linetta cominciò a correre sulla Piazza, sotto il cielo stellato. Un volo sui gradini, una corsa sulla strada, senza fermarsi fino a casa, con le mani strette dentro le tasche del cappotto.

Rosa La Camera

Estratto: A putia del poeta