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mercoledì 27 luglio 2016

Vuoti a prendere




Mio nonno non parla molto, dice buondì invece di buongiorno, indossa delle scarpe che somigliano a delle pantofole, sono chiuse da una cerniera che arriva al collo del piede, quando cammina, non lo senti arrivare. Non litiga, non si lamenta, non gli interessa sapere cosa ci sia per cena. Ha lo sguardo algido degli uomini con gli occhi celesti, i baffi erano biondi. Anche mia madre lo è, algida intendo.


La sera, alla luce di una lampada, mi da le spalle dalla scrivania di ciliegio, sul tavolo invece, in grandi bacinelle di metallo, mette a mollo delle buste di corrispondenza, (le compra) scioglie così la colla per recuperarne i francobolli. Piccoli stagni. Usa pinzette lunghe e sottili, con pazienza e metodo, separa la carta ancora umida.
Se resto muta, sono a posto, non si accorgerà di me. M’ignora. Io calibro il respiro, potrebbe volare via tutto. Nonno parlami.
Ci sono anche mucchi di francobolli di colori e dimensioni diverse, tenuti assieme da fascette larghe, a me sembrano tutti uguali. Gliene rubo un po’ e li nascondo negli spazi laterali tra il frigo messo di sbieco e la parete, li tiro là quando non mi vede nessuno, li recupero con calma, a me non interessano.
In questa casa siamo in sei, c’è parecchio da fare, e l’accuratezza nelle pulizie è un lusso. Nessuno sposta mai quel vecchio dinosauro.
Da qualche giorno non sta bene, rimane a letto, ho sbirciato dalla fessura della porta della sua camera, è su un fianco, dorme sulla parte sinistra del letto, mi dà le spalle.
Mio fratello ed io dormiamo nello stesso lettino, testa contro piedi, io con la testa rivolta verso la porta della nostra camera minuscola, sovrastati da libri vecchi, non ci sono finestre. La sera prima di addormentarci facciamo la conta, vince chi resta sveglio. Quando dorme mi alzo e le cose dei grandi diventano mie.
Annuso, guardo, ascolto, tocco. Nessuno può dirmi cosa fare. Sono libera e tutto mi appartiene. Quando mi rimetto a dormire la casa si vuota.
Sono giorni che non sento: buondì. Approfitto della sua assenza per sfogliare i cataloghi, osservo i colori, le forme, i disegni minuziosi, le cifre, le stampigliature, mi piace sentire la carta ruvida e opaca che protegge le pagine, tra i polpastrelli. Gli altri sono troppo occupati per accorgersi di me dei miei traffici. Anni dopo scoprirò che il Gronchi rosa non è uno strano animale. Le buste, ne leggo gli indirizzi, non conosco nessuno, sono tutte vuote. Peggiora, il letto è vuoto.
Mia madre indossa un maglione scuro aderente a collo alto, una gonna a righe larghe orizzontali. Nessuno sente il bisogno di dirmi nulla, per me è sparito, come i gatti che frequentano questa casa, forse è andato a morire da un’altra parte.
Da quell’altra parte, c'è un altro tavolo, formica verde con gli angoli consumati simile a quello su cui mia nonna passa a setaccio la ricotta, taglia i gambi ai carciofi regalandomi il cuore tenero, un ripiano freddo pulito, delle sedie rigide, un’altra camera da letto; chissà qual è il lato preferito, magari lo stesso. Forse le sue parole le hanno portate in altre stanze ad altre orecchie, i gesti sono rimasti vetrificati nelle bacinelle d’acciaio, l’acqua ormai ha assunto un colore limaccioso.
I francobolli senza valore sono rimasti qua.
Adele Musso