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mercoledì 28 settembre 2016

Ho fatto l'amore con Charles d'Inghilterra

“My darling”, così mi diceva abbracciandomi forte, facendo attenzione al suo abito in tweed.
Charles lo vidi per la prima volta ad Ascott. Per l'occasione avevo un cappello degno - tante piume rosa svolazzanti che solleticavano nasi. E per impreziosirlo ancor di più, pure i fichidindia ci misi: rossi e verdi, raccolti nel giardino della zia Annette e portati dalla Sicilia, con me!
Con la bocca aperta volevo lasciare 'sti british da tè insipido.
La stanza dove mi trascinò Charles emetteva raffinate melodie, grazie ad un sofisticato sistema di carillon.
L'atmosfera si ammantava d'avventura. Lui davanti a me, bruciante di passione e con una libertà completamente priva di freni. 
Mi resi subito conto che il desiderio umano è uguale in tutto il mondo.
La mia bocca ansimante iniziò a ripetere “I go-I go” e lui a rispondere "Where? Where?" Andò avanti così per un po'. Con  una serie di gemiti, associati ad una mediocre performance. E con i nostri corpi aggrovigliati in stranezze varie.
La sua faccia attonita divenne imbarazzata e perplessa. I miei occhi erano persi nel soffitto altissimo,inciso da decori e stucchi. “Ma quanti rinfreschi ci sono? e che belle scene di caccia, quanti animali strani. In Sicilia mai ne ho incontrati, saranno sicuramente inglesi”.
A letto, mio caro principe, sono necessari passione e abbandono, non compostezza.
Malgrado la mia scarsa conoscenza della lingua inglese il nome “Camilla” lo compresi benissimo e a quel punto non ci vidi più.
Mi incazzai bene: la povera Diana l'hai cornificata dal primo giorno e dimostrando scarsa sensibilità, pubblicamente  hai ammesso che Camilla era il tuo tampax. Uomo indegno.
Ma con me no, non te lo permetto. 
Senza pensarci un attimo, lo spinsi con tutte le mie forze, facendolo ruzzolare giù dal letto. Si sentì un tonfo, come di un sacco vuoto, accompagnato da un lamento debole e incomprensibile. “Oh, what a pain!”
Che fine aveva fatto la sua allure internazionale?  
Gli sferrai un calcio ai gioielli di famiglia che, ahimè, non brillavano tanto come quelli della corona che nessuno gli avrebbe adagiato tra quelle fette di carne chiamate orecchie.
Qualche tempo dopo mi resi conto che I go non corrisponde esattamente a I come (con lui, comunque, non si va da nessuna parte).

Mariella Cirafici