Se la saranno fregata,
aveva pensato con rabbia e rassegnazione, era andato tutto storto, tutto, ogni
tanto si guardava alle spalle, ma i passi che risuonavano erano soltanto i suoi.
Le facevano male anche i piedi, si stringeva l’impermeabile addosso, sollevava
la tracolla della borsa che continuava a scivolare verso il basso. Ormai il
danno era fatto, le era piovuta dentro la bile e si era infradiciato ogni
organo interno. Si sentiva sporca. Era sporca.
Lui era andato via, e mentre
parlava lei si era sporcata ancora di più, si era fissata con i suoi capelli,
li aveva tinti? Ma quando? Era davvero così tanto tempo che non lo guardava, sì, lo guardava, ma non lo vedeva. E mentre lui le tirava contro il disprezzo lei
non ascoltava gli guardava la testa, i capelli.
Era stato freddo,
tagliente come la carta, e senza accorgersene si era ritrovata a pezzi. Tagli
sottili che sanguinano.
Doveva aspettarselo,
nessun uomo può accettare passivamente di passare per lo zimbello di un gruppo
specie se in quel gruppo ci vive e ci deve necessariamente tornare. Avevano
percorso un pezzo di strada insieme, poi lui si era dissolto nel nero della
strada, dei marciapiedi del buio, che risaliva dai tombini e che annebbiava la
vista e i sensi. Maledetta auto nera, dove sei? E il telefono, non funzionava,
batteria scarica, tutto scarico.
Cosa credevi, che gli
altri tacessero? le aveva detto guardandola negli occhi, lei i suoi li aveva
abbassati, simulando una vergogna che non provava fino in fondo. Cercava di
recuperare terreno, ma lui era un muro.
Era arrivata alla festa da
sola, lui ancora al lavoro, non era un tipo puntuale e non gliene importava
niente, al contrario di lei che arrivava in anticipo. C’erano parecchie
persone, conosceva tutti, non passava inosservata, preferiva ignorare le
occhiate e fingere di non capire che alcuni sguardi non erano disinteressati. Se
ne fotteva. Uomini.
Cosa le aveva impedito
questa volta di lasciare che lui indugiasse sul suo seno quell’istante in più,
che aveva fatto deviare il corso delle cose. Non lo aveva mai considerato un
uomo attraente, non lo aveva mai considerato. Lei teneva le distanze, non
flirtava neppure per divertirsi un po’, figurarsi con gli amici del marito. E invece, quello,
quel tipo che aveva una moglie quasi trasparente e, diciamocelo, niente di ché,
prima l’aveva aiutata quando un moscerino o forse delle ciglia le erano finiti
dentro l’occhio destro; le aveva detto, ti aiuto, stai lacrimando, le distanze si
erano accorciate tanto, che lei ne aveva avvertito l’odore, e così lo aveva
visto per la prima volta, non è male, ti macchierai sotto gli occhi, adesso che
lacrimi, le aveva asciugato, giusto sotto la riga inferiore, il mascara
sbavato. Un fazzolettino di carta, un tocco lieve. I loro visi erano
vicinissimi e lei aveva notato, nonostante la vista offuscata, gli occhi di lui
e la gentilezza, che è quella che ti fotte. La fronte ampia, e il sorriso, da
quello la gentilezza era uscita, come un fiume che tracima. Si era lasciata
bagnare.
Sentiva altri sguardi
addosso, li aveva ignorati, era presa dalla improvvisa intimità che si era
creata tra loro. Una voce d’allarme le stava urlando: attenta! Aveva staccato
quell’interruttore, la voce si era zittita. Stai per annegare e trascinare la
tua vita con te. Aveva bevuto.
Cosa pensavi, che i miei
amici sarebbero stati zitti? Amici, pensò lei, non abbiamo amici, solo delatori
e invidiosi, ma non lo disse ad alta voce. Provò invece a negare l’evidenza,
non è successo nulla, almeno niente di importante, la gente immagina e inventa
quando non sa come passare il tempo. La gente è cattiva e tu lo sai.
Non fare la furba con me,
le aveva risposto con il mento che gli tremava. Ma era stato un attimo, era
come se lui questo momento lo temesse, lo aspettasse e avesse già preparato il
discorso da farle. Era troppo sbrigativo, razionale. Era un uomo.
L’altro aveva allungato la
mano e lei non lo aveva fermato, ma dove aveva la testa?
Spenta. Togliamoci da qui.
Hai paura che ci sentano?
Non avevi la stessa preoccupazione mentre lui ti toccava.
Era stato un gesto che
nessuno aveva stabilito, e neppure impedito. Soltanto dopo un tempo che non si
poteva più rimediare, aveva spostato la mano di lui dal suo seno destro, si era
allontanata e aveva preso un bicchiere di vino, aveva la gola secca. Lucida,
sebbene le luci fossero stordenti e il vociare dei presenti fosse sovrastato
dalla musica. Aveva sentito la disapprovazione, le era calata addosso come la
carta che avvolge il pesce al mercato, puzzava. E si trascinava appresso la
rabbia di coloro che avrebbero voluto essere al posto dell’altro e che adesso
potevano vendicarsi.
Quando era arrivato suo
marito, lei non lo aveva neppure salutato. Ignaro, non per molto, le cattive
notizie viaggiano rapide. Così lui non si era tolto neppure la giacca di dosso,
che l’aveva spinta fuori, senza scenate; lei lo aveva seguito e poi distanze
e posizioni erano mutate. Lui, dietro di
lei, spinta verso la strada, via da quel luogo, lontano dai commenti e da
quell’altro che le mani adesso le aveva riposte in tasca e sarebbe stato
giustificato dagli amici. Uomini.
Le donne presenti, mute,
cieche, sorde, non stava capitando loro, che fortuna. Fino che nel loro
cervello non fosse scattato quel tac che sveglia e ti ricorda che sei ancora viva.
Dove cazzo è la macchina?
E se mi accade qualcosa? Ormai a lui non importa più, mi ha restituito al
mittente, come cambiano le prospettive, sei la persona più importante della
vita di qualcuno fino a che un altro non ti infila lo sguardo dentro un occhio
infiammato o ti sfiora la pelle attraverso un maglione e un impermeabile beige.
E ti ricorda che sei una persona viva. Una stronza.
Adesso potrei tornare
anche a piedi, rompermi un tacco e piangere per la mia auto rubata, e lui l’altro,
come cazzo che si chiama, non ho neppure il suo numero, e non mi importa. Eccola,
ferma, immobile, sola, non se l’è fottuta nessuno.
Adele Musso