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lunedì 12 dicembre 2016

Tabacchiera e vino

Io,‭ ‬bambina,‭ ‬lo fissavo muta,‭ ‬poi scappavo.‭
Rideva poco,‭ ‬muoveva una spalla in modo strano,‭ ‬quasi un tic,‭ ‬alzandola come ad allontanare un fastidio,‭ ‬forse il collo della giacca.‭ ‬E insieme sollevava mezzo labbro,‭ ‬quello superiore,‭ ‬strizzando un occhio e l'aria tra i denti,‭ ‬risucchiata,‭ ‬provocava un‭ ‬suono simile ad un fischio.‭
Tirava fuori dalla tasca del panciotto una scatolina di rame.‭ ‬Le dita annerite,‭ ‬prendeva una presa di tabacco,‭ ‬tirava forte e invitava a servirsi ‬-‭ ‬Prendila‭! ‬Solo un po‭' ‬di tabacco è.‭ ‬
Sedeva alla taverna,‭ ‬lì mescevano vino e facevano da mangiare,‭ ‬a richiesta.‭ ‬Riempiva il bicchiere strizzando di tanto in tanto l'occhio e allontanando quel colletto immaginario,‭ ‬poi iniziava a conversare.‭ ‬Il vinaio faceva da mangiare,‭ ‬la sorella lo aiutava in cucina e ai tavoli,‭ ‬si davano il cambio secondo l'esigenza.‭
Avrebbe mangiato lì.‭ ‬Il vino lo aiutava a cancellare timidezza e rabbia,‭ ‬diventava loquace e non si fermava più.‭ ‬Il racconto era sempre lo stesso:
-‭ ‬Quella sera tornavo dal lavoro,‭ ‬ho visto sul letto una coperta rossa,‭ ‬buttanisca,‭ ‬si,‭ ‬come quella delle camere delle buttane.‭ ‬Capisci tu‭? ‬O non capisci‭?
Mi volevo levare la coppola e mangiare qualcosa,‭ ‬ma non aviva priparatu nenti.‭ ‬Nenti‭! ‬Capisci tu‭? ‬O non capisci‭?
Ci spiai:‭ ‬Ma oggi nenti facisti tutta a jurnata‭?! ‬Idda non m'arrispunniva.‭ ‬Pareva‭ '‬na statua immenzu a cammara.‭ ‬Gli occhi cilesti friddi comu‭ '‬u ghiaccio.
M'avvicinai,‭ ‬non‭ '‬pi vastuniarla.‭ ‬Non avia ghisatu mancu un vrazzu.‭ ‬Non m'arrispunniva.‭ ‬Poi tutt'ansemula‭ '‬na vistu cchiù.‭ ‬Era‭ '‬in mmenzu‭ '‬o lettu,‭ ‬sulla coperta rossa,‭ ‬intricciata di tanti disegni acculurati.‭ ‬Aveva le calze di seta,‭ ‬le scarpe nere ai piedi.‭ '‬Jo ci spiai:‭ ‬non facisti nenti oggi‭? ‬-
Ogni tanto alzava la spalla e fischiava tra i denti strizzando l'occhio,‭ ‬ma non riusciva qui ad andare avanti,‭ ‬i ricordi facevano fatica.‭ ‬Rabbia,‭ ‬dolore,‭ ‬anche pentimento,‭ ‬i sentimenti stracancivano il suo viso come il vento le nuvole.‭ ‬Poi:
-‭ ‬Tutt'ansemmula vitti‭ '‬n umbra.‭ ‬Niura comu‭ '‬nun serpenti,‭ ‬arreri alle me‭' ‬spalle,‭ ‬non era una forma umana.‭ ‬Era un serpente,‭ ‬un Diavulu,‭ ‬chi si visti e non si visti‭ '‬cchiù‭!!
E mi capivu chi idda non cucinava,‭ ‬che c'era un uomo nella stanza,‭ ‬chi la viniva‭ '‬a ttruvare...-
Restava sospeso,‭ ‬si accasciava sul tavolo in un lamento,‭ ‬in singhiozzi ma confusi,‭ ‬quasi un soffiare che diventava ronfo profondo quando la sbornia lo aveva vinto.
A volte invece,‭ ‬sorrideva alla donna che serviva il vino,‭ ‬si sporgeva a raccogliere il suo sguardo che invece era feroce,‭ ‬pronta ad alzare le mani per respingerlo.‭ ‬E lo schiaffo arrivava sicuro,‭ ‬con uno scroscio secco e sonoro.‭ ‬Lui barcollava,‭ ‬rideva,‭ ‬cincischiava:‭ ‬-‭ ‬Lo capisco,‭ ‬lo capisco...‭ ‬tu vuoi che io non me ne vada...‭! ‬Capisci o no‭ ? ‬Capisci tu‭? ‬-
Il sorriso si deformava,‭ ‬diventava viscido per la voglia di trattenerla e di afferrarla.‭ ‬Arrivava il secondo schiaffo quando già si alzava la cintura dei pantaloni,‭ ‬baldanzoso,‭ ‬e l'oste lo strattonava‭  ‬per cacciarlo via.


Clotilde Alizzi