Può esistere al mondo un tipo
di poesia che sarebbe facile definire come “ingarbugliata”: decomporre gli
elementi emotivi e quelli stilistici in piccole fazioni felici attraverso
un’operazione di più ampio respiro non porterebbe a nulla. Esiste, al
contrario, la convivenza.
Qual è il malessere all’origine
della tua urgenza?
Non ho nessun malessere, solo
gioia. La poesia è una felice, luminosa preghiera laica alla bellezza.
Che cosa caratterizza, secondo
te, l’epoca in cui viviamo?
Noto tanto individualismo,
personalismo. Vedo la gente in un mondo continuamente connesso, vedo la gente
che si chiude. Siamo in cerca di una cultura globale che miri a superare i
limiti culturali, politici, economici.
Dove risiede, oggi, il male?
Il male, oggi, risiede
nell’indifferenza. Assenza di empatia, superficialità nelle relazioni
interpersonali. E’ questo che ci avvelena dall’interno.
Quali sono i tuoi riferimenti
letterari?
I miei maestri sono Pasolini,
Neruda, Rilke, Baudelaire, Prevert, Eliot.
Che cos’è la poesia?
La poesia è l’esaltazione delle
luci del mondo. Parafrasando Garrani: “è uno sguardo attraverso” o una “natura
vaporosa”. La parte indefinibile di noi stessi.
Qual è la tua idea di mondo?
Il mondo è un contesto
caratterizzato da una reciprocità emozionale, un contesto in cui, in qualunque
momento, è possibile riconoscerci ed essere riconosciuti. Solo in questo caso
lo spazio in cui ci troviamo si fa mondo.
Definisci la creazione.
La creazione non è definibile.
Essa prevede la rielaborazione di qualcosa che già esiste. C’è qualcosa in più:
una scintilla, quella dell’immaginazione. Non possediamo una visione oggettiva
del mondo e ci è limitato il suo controllo.
Quanto è incisiva la realtà? E
quanto l’immaginazione?
Tutti hanno immaginazione. Ci
sono tanti, però, che sembrano castrarsi. Tanti che vivono prigionieri della
propria realtà. Negare la realtà immaginaria significa negare noi stessi.