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mercoledì 1 marzo 2017

Cernia Tossica, recensione di Rosa La Camera



Giorgio D’Amato fa il bis, con questo nuovo libro edito da Mesogea e ancora una volta centra l’obiettivo di svelare, all’interno di un racconto (incredibilmente reale) un inganno  (realmente incredibile), quello dei titoli tossici utilizzati dalle cosiddette “società veicolo” che offrono consulenza e liquidità di denaro agli enti territoriali che vogliono “ristrutturare” i loro debiti. 


Siamo all’inizio del ventennio berlusconiano, al limite e dirimpettaio di governi falliti e compromessi che fanno spazio al liberismo; e proprio a questo scopo la legislazione italiana si correda di nuovi strumenti che offrono agli speculatori mille e più occasioni di frode ai danni di qualsivoglia cittadino e ente, inglobando l’uno e l’altro in un meccanismo che prevede complicità ed accettazione, al fine di ottenere profitto. La politica è il grande burattinaio, dunque, e tutti gli altri sono ingoiati dal sistema e resi complici attivi o passivi.
Nel racconto oltre a Germano, l’ideatore, colui che avvolge il gomitolo e tende i fili, c’è Rosanna, la compagna che si fa avviluppare dalla trama e, intanto che ne viene assorbita, impiega le sue capacità intellettuali per fornire gli strumenti “formali” necessari alla realizzazione dei progetti del suo uomo. Il personaggio finisce per rivelarsi una valida metafora del coinvolgimento di tutta una società, quella italiana, che subisce la fascinazione di questo progetto “politico” e che, sebbene all’inizio riluttante, finisce poi per abbracciarne completamente gli scopi; è così che Rosanna, nascondendo dietro false motivazioni la propria adesione, rimanda nel tempo il dare luce alla coscienza lasciandola ad attendere dietro porte sbarrate che pochi hanno il coraggio di aprire o addirittura di eliminare strappandole dai “cardini”.
Ma come è potuto accadere tutto questo, ci chiediamo; in una società uscita dal decennio delle rivolte giovanili/razziali/sociali/ contro il capitalismo….? E’ potuto accadere che tagliata la testa al serpente esso si è riprodotto con mille altre, è accaduto che le uova del serpente erano rimaste nascoste e protette dentro la testa di chi nelle rivolte sociali aveva visto solo il fallimento dei suoi stessi autori e aveva considerato “falliti” tutti coloro che coltivavano un briciolo di “pensiero divergente”.
Di questo fallimento la maggioranza ha voluto frettolosamente cancellare le tracce, togliersi di dosso i vecchi stracci per sfoggiare camicie di seta. E i padri nel loro letto di morte chiedono: “Germano che macchina ha?...E quanti soldi ha?...E comanda?”
Il romanzo risulta essere pure un occasione per lo scrittore di esporci la sua “poetica”, quella che D’Amato da anni cerca di far passare nei suoi laboratori di scrittura e all’interno del gruppo Apertura a Strappo, la poetica del “lungo fluire lento e scandito dei fraseggi che (…) riproducono l’apparente insensatezza dell’oralità, percorsi che iniziano e non finiscono, argomenti lasciati in attesa…e voci che si sovrappongono, interferiscono, si dissolvono l’una nell’altra fino a quando, a sorpresa, uno spunto lasciato alla fermata precedente, risale, impone il suo momento e si compie…”

Rosa La Camera