Per ritrovarsi bisogna
aprire la gabbia.
Quel mattino la signora
Carla guardò il canarino che viveva nella gabbia da più di quindici anni e le
sembrò sbiadito. Poi si specchiò e la riga che le separava i capelli era diventata
bianca, non le importava più d’arginare gli anni con artifici. Attraversò quel
solco e fece ritorno all’uccellino che le ricambiò uno sguardo muto. La stanza
era in ordine, antica, pulita, se ne riempì gli occhi anche se l’esser vecchi
li rimpicciolisce e si fatica a tener tutto a memoria.
Quel mattino non avevamo
sentito il canto del canarino della signora Carla, quella sorta di segnale che
era ora di sbrigarsi.
Ma l’uccello della signora
Carla? Mi disse mia madre da
dietro la mia spalla destra.
-Stamattina niente, mi
sta facendo sballare l’orario. – risposi guardando l’orologio a padella appeso
alla parete della cucina.
-C’è qualcosa che non va,
sentenziò lei con il ferro da stiro che sfiatava.
La bestiola non cantava,
in attesa avvertiva la sospensione della signora Carla, disorientata da un
cenno che non arrivava. La Carla stava inventariando la stanza: un lampadario
d’ottone, portafoto di nipoti altrui (la figlia non aveva avuto bambini ma di
queste cose non si parla), oggetti vecchi, ché non erano mai stati ricchi e
tante cianfrusaglie che il genero le portava dai viaggi, lei non aveva mai
rifiutato, li poggiava dove trovava spazio ma non le importava nulla di luoghi che
non riusciva neppure a collocare geograficamente. Un giorno aveva messo tutti quegli
oggetti in un sacco e li aveva regalati al portiere, quello adesso si vantava
di essere stato in giro per il mondo pur non essendosi mai mosso dalla
guardiola.
Non c’era neppure odore di
cibo per casa, la camera della figlia e del genero era vuota. Ancora in
viaggio, ancora.
Anche la poltrona del
soggiorno, quella vicino alla finestra era vuota, il plaid rosso e blu piegato
con cura. Lui era uscito, arzillo come sempre, fuori a passeggiare, così diceva.
Il baffo impomatato, il cravattino e i guanti in tasca, un bastone elegante al
braccio.
-Ma che bell’uomo!
-Un vero stronzo, mamma.
-È una vita che le mette
le corna, ridicolo, un galletto rinsecchito.
-Tu credi alle chiacchiere
della gente?
-No, alla faccia della
Carla.
-Lo ama e lo fa andare
come un figurino, i colletti delle camicie sembrano di zucchero.Una pupaccena.
-Per te la roba stirata è
l’unità di misura del matrimonio.
-Non del matrimonio,
dell’amore.
-E com’è che tu ed io
siamo da sole mamma?
Ha sbattuto il ferro
sull’asse e se n’è andata stizzita.
La signora Carla riempie
l’ampollina dell’acqua, la vaschetta con il mangime. Oggi è maldestra e i
semini si riversano sul pavimento sotto il trespolo su cui è poggiata la minuscola
voliera.
Oggi non cucina, nessun
sugo ai crostacei, nemmeno quel riso dolce che ogni tanto ci fa assaggiare, che
io non ho mai capito come può diventare gustosa una roba tanto collosa.
Apre la gabbia (il
canarino è abituato ad uscire), compie un giro per la stanza e canta, libero. Uno due, tre svolazzi da una
parete all’altra, senza sporcare s’intende, si poggia sul braccio di lei
guardando fuori dalla finestra chiusa, con un ultimo volo torna dentro.
Quando si poggia sul
braccio la signora Carla lo afferra e stringe, sempre più forte.
Pensa alla morte e
all’ultimo sussulto delle galline, a quante ha tirato il collo e ne ha
spiumate, fa tanto bene ai polmoni il brodo.
Stringe il canarino che
piega la testa. Va a sedersi alla poltrona di lui, ma prima apre la finestra
del salone, le tende si sollevano insieme ad una piuma perduta dalla bestia che
adesso ha uno sguardo stupito.
La signora Carla tiene le
mani in grembo, il suo orecchio attende il rumore dell’ascensore, delle porte
di metallo che le ricordano tutti i ritorni. Lo ama. Sì, lo ama, è questo il
motivo per cui non ha avvelenato il suo cibo, e ha ingoiato lacrime, chiuso la
gabbia, cambiato acqua, riempito piatti, lavato colletti che altre avrebbero
sfiorato.
La chiave, il bastone che
spinge la porta.
È identico a stamattina,
forse più profumato.
Si guardano e lui esita.
La sua poltrona. Lei.
-Cara, cosa hai?
Lei apre la mano, il
canarino sembra che dorma.
-Povera cara, dice
sfiorandole la guancia. Lei aspira il suo odore, soltanto il suo.
-Gettalo via, te ne
prenderò un altro al mercato. Cosa c’è per cena?
-Sai cosa mi ha detto il
portinaio oggi?
-Dimmelo mamma, non voglio
che tu stia male.
-La signora Carla gli ha
dato il trespolo e la gabbia del canarino.
Fa una pausa ad effetto
perché io sento di aver spalancato gli occhi.
-Sì, il canarino pare sia
morto.
-Non si può tenere a lungo
un volatile rinchiuso, muore di nostalgia mamma.
-Eppure sembrava felice.
-Di cosa parli?
-Del canarino, chi altro?
Adele Musso