L'ambulatorio è pieno, distinguo ogni malessere, riconosco ogni malattia.
Le parole già scagliate con la fionda hanno fatto i lividi su parecchie braccia, e vedo petti ansimanti, segni tangibili di troppa rabbia in corpo.
Sento alcuni farfugliare sottovoce, l'escandescenza ha solo parole pasticciate, ed è così che inizia: sommessamente.
Attendo il mio paziente, so che non tarderà.
Il rialzo di pressione avvampa molti visi, e noto dita frementi e labbra rosicchiate. Ci vorrebbero acqua benedetta e sale, ahahah.
Ma io non ho cerotti, né bende e neanche museruole, poi manca pure il medico!
Aspetto il mio turno perché ho da esprimermi per bene, ed ho bisogno del paziente giusto.
Non tutti sono uguali, non tutti ricettivi, non tutti refrattari, non tutti.
Quello che sono si vedrà ben presto, l'aria è satura, la sento pressare sulle costole degli infermi.
Si agitano sulle sedie, scomodi gradini per questa strana attesa.
Trattengono il respiro, inghiottono saliva.
Il mio paziente sarà quello giusto.
Si apre la porta, lo riconosco, è lui.
No, non ne aspetto altri.
Ha l'occhio acceso, lo sguardo incandescente, i pugni stretti, è quello che mi basta.
Io sono l'ira e scatenerò l'inferno.
Adelaide J. Pellitteri