(Signora
perbene:)
Rusulè,
lascia perdere questi palermitani schifiati e pidocchiosi e vieni con me, che io ti voglio bene come una
sorella.
Tu
non dovrai fare più niente, diventi la nostra santa, la santa della nostra
famigghia.
Ti
facciamo un altarino in salotto, solo orchidee per te. E il primo mio marito,
ogni giorno ti dirà il rosario. Rusulè, abbiamo pure un parrino che di
sgarrubbo ogni sabato ci viene a trovare, e lui ti dirà la messa – sai, Rusulè,
mio marito in chiesa non ci può andare.
Rusulè,
non ti faremo mancare niente, noi due passeremo il pomeriggio insieme, ti porto
con me a scuola, io faccio la maestra. E quando avrai voglia di fare qualche
miracolo, io ho un elenco di persone che mi ha segnalato i suoi probbremi, le
solite cose, tipo figlie che non si maritano o mariti che non lavorano, io
minni futtissi però, siccome siamo brave persone che vogliamo bene a tutti, una
volta ogni tanto a qualcuno ci facciamo la grazia.
Rusulè,
ti voglio bene sempre, naturalmente come una sorella.
(Rusulè
incazzata:)
Tu
sei la prima surcia di Palermo, lievati ri ravanzi, surcia consumacasati,
consuma-picciriddi, surcia ruffiana, surcia degna di scafazzarci la testa come
una serpe nivura, surcia che pari un profumo imitazione di quelli buoni: lu
primo ciavuru sembrano fiori, poi arriva feto di sarde fituse.
Vatinni.
Giorgio D’Amato per Collettivo AAS