È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo bisognoso di un'ampia fortuna debba accaparrarsi una facoltosa moglie.
Quando vidi le quattro sorelle Bennet per la prima volta, lì tutte in fila davanti a me, mi parvero altrettante pollastrelle pronte per la spennatura. Ingenue e felici, aperte al mondo come solo delle damigelle di campagna potevano essere: un affare, manco pi' fallu.
Io, Fitzwilliam Darcy, noto tombeur de femmes in gamba ma squattrinato, di bell'aspetto ma sfortunato, cercai subito di accaparrarmi i favori di quelle tanto ricche signorine, e chiudiamo un occhio sulle loro qualità. La prima ad avvicinarmi fu, com'era prevedibile, la minor, Lydia, il cui dispersivo entusiasmo per qualunque cosa la distraesse dalla routine quotidiana era disdicevole a vedersi e gustarsi: la respinsi subitaneamente, non senza aver goduto dei suoi sollazzi finché mi parve opportuno. Kitty, più grande di due anni ma invero assoggettata all'ultimogenita, profittò della mia compagnia non poco: mi trascinò a balli e feste, ricevimenti e canapè per il tempo di due lune, senza il minimo cedimento alla mia corte spietata perché invelenita dai di sua sorella minore negativi pareri sul sottoscritto.
Poco me ne crucciai: ella non possedeva la minima capacità di attrarmi, ed era per natura assolutamente scialba ed insignificante.
Da Mary fuggii dopo un solo pomeriggio, senza attendere responsi: cercò di compensare le evidenti mancanze strutturali con un'affettazione ed un'inculturazione che poco si addicevano alla mia natura goliardica (e che, lasciatemi dire, non credo attirerebbero alcun gentiluomo che sia dotato di un minimo di buonsenso in tutto lo Hampshire).
Da Jane ero sinceramente attratto, cadesse il cielo: la sua posatezza, i suoi modi e quel viso indimenticabile ne facevano il più bel fiore della contea. Tentai il possibile per piacerle: fiori, cioccolatini, promesse e lusinghe, tutto quel che un povero diavolo deve fare per intascare il bottino (la ragazza, s'intende). Ma la fanciulla era già promessa al mio amico Bingley, che la amava teneramente, così abbandonai il mio proposito: sono sempre stasto onesto, io. Restava solo Elizabeth, la secondogenita: due occhi neri come l'ebano ed un cipiglio deciso a respingere qualunque corteggiatore osasse farsi avanti. Quale miglior sfida per il Signor Darcy? Per lei composi addirittura un sonetto, e glielo recitai alla finestra. Facea più o meno così:
Lizzie, Lizzie Lizzie Lizzie,
Sciogli le tue trame, spine e pizzi,
Affacciati alla finestra! Ché l'ora è lesta
A sparir, Amore mio,
Perch'io, Angelo tuo,
Sto qui ad attendere una tua favella,
una nota, una bretella!
Una risposta al mio incedere,
nella notte, libero e celere,
guidato dalle ali del cuore,
e dal tuo candido livore.
Orsù vieni, non tardare!
Ché senza te, mi sento a mare,
odiato, rigettato, perso,
in questa vita
senza verso.
Bello, vero? Incredibile, ma cadde subito ai miei piedi. Giustizia era fatta! Una dote di 30.000 sterline non me la toglieva nessuno.
Ci sposammo in pompa magna; i suoi genitori provvidero a tutto senza motto proferire, fin troppo contenti del bell'aspetto e dell'impeccabile contegno del consorte che la loro figlioletta aveva acquisito. Oh, quali ingenui pulcini! Come gli anatroccoli che non sanno andare avanti se non li guida la madre, essi si fecero guidare dal facile entusiasmo che la mia vista gli procurava, e furono perduti.
O almeno, così pensavo.
Credevo d'aver concluso l'affare del secolo. Una moglie modesta e gentile, e due genitori inconsapevoli e contenti che ci avrebbero fornito un vitalizio di non pochi quattrini. Avrei potuto spassarmela.
E invece quella scapestrata della sorella più piccola, Lydia, pensò bene di organizzare una fuga d'amore con uno degli ufficiali in visita a Pemberley, certo Mr. Wickham. E i miei suoceri, per salvare l'onore della famiglia, spesero metà del loro capitale per il matrimonio, il distintivo da ufficiale di lui (il marrano non era che un sottoposto, un mozzo di terra, uno scudiero), la riabilitazione del nome di lei e quanto si conviene perché la faccenda rientrasse. Ed a me e Lizzie non rimasero che le briciole.
Ed eccomi qui: sono l'incarnazione vivente del detto: "Chi troppo vuole, nulla stringe". Attaccato a questa penna, e nulla più. Me tapino.
Elena Spina