Buttana, anzi, buttanissima, ma troia
no, questo non me lo possono dire.
E se un giorno fanno la santa delle buttane, quella devo essere
io; e se poi gli fanno la processione, tipo Santa Rosalia, allora sul carro ci
devono mettere a me al posto della Santuzza: io davanti e tutta Palermo dietro,
a benedirmi le cosce.
Io sono diventata buttana per forza
di cose: la mia vita cambiò il giorno che mio marito andò a
un appuntamento con gli amici per fare un festino, carne di crasto, salsiccia e
una cassa di birra. Cose tra uomini. Così gli avevano detto. Mio marito trovò
una bella pistola che lo aspettava, con il colpo in canna. Un colpo gli
diedero, e poi un altro e un altro ancora. In tutto sei. Fece la stessa fine
del crasto che si voleva mangiare.
Io quella notte non potevo dormire, lo sapevo che mi doveva
arrivare questa notizia, mio marito aveva fatto troppo rumore con la Mercedes
che si era comprata, troppo lusso.
Me ne andai al funerale che non
potevo stare in piedi.
Tutti mi dicevano come stai? ti senti bene? parla, sfogati,
fatti una chianciuta che ti senti meglio. Muta totale, era come se non stavano
parlando con me.
Ai funerali non manca mai nessuno: parenti, parrini, amici,
conoscenti, nemici, sbirri e spioni; mi vennero a dare mille vasate, alcune di
affetto, alcune di circostanza, molte di giuda ma una me la diede una santa - le
migliori anime del Purgatorio fanno così, non fanno capire niente e si pentono
di nascosto, loro si sgravano e tu vieni a sapere la verità. Mentre mi stava
baciando una me lo disse all’orecchio, uno della banda di Don Tano ‘u
malaminchiata fu.
Apriti cielo. A Palermo nel mandamento di Porta Nuova quando
pronunci questo nome, intanto lo devi dire sottovoce, mezzo masticato. Anzi, è
meglio se non lo dici. ‘U malaminchiata è quello che comanda tutte cose, senza
di lui non si muove una foglia, non si appende un chiodo. Ci sono le elezioni e
devi votare? Prima ti devi informare quali sono i suoi consigli. Dio ce ne
scansi di Don Tano ‘u malaminchiata che a cinque anni già aveva scannato un
capretto con le sue mani.
Ma Don Tano la doveva pagare.
Lui o chi per lui.
Piangevo io e dovevano piangere pure le femmine della sua
famiglia, madri, mogli, figlie, sorelle. Tutte. Dovevano piangere come e quanto
me.
(...)
Teatro Atlante, 13 e 14 dicembre 2014 ore 21.15
Giorgio D'Amato