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lunedì 29 dicembre 2014

Orrori natalizi: la recita

Del fascismo la vecchia scuola aveva mantenuto soltanto l'aria trattenuta tra le grandi mura squadrate, forti come fasci legati ben stretti. Ben stretti erano anche i nastri punteggiati di rosa che si allungavano dai colletti perennemente storti, ci davano un'aria stupida. Anche quella natalizia non ci faceva sentire meglio, quell'aria infarcita di buonismo che maestre e luminarie ci costringevano ad inalare con forza.
Luci che si accendevano ad intermittenza come minacce epilettiche, le maestre erano altro genere di minaccia. Perché quello era un tempo in cui i bambini si spaventavano ancora di qualcosa. Avete scritto la letterina? Deve sprizzare amore e obbedienza come il  grasso che cola dal maiale che cucinerà vostra madre per la Vigilia. Deve trasudare di buone intenzioni quanto la fronte di vostro padre alla vista dell'ennesima portata. Perché il Natale è la festa del ben di Dio, che non è mica il pargoletto sceso dalle stelle! Ogni anno la stessa solfa, la bontà indotta di cui ci saremmo dovuti infarcire come tacchini americani, invece noi eravamo appena dei polli da batteria. La messa, la promessa di redenzione dell'intera scolaresca, non ce ne importava più di tanto, era altro il miraggio accarezzato giorno dopo giorno: le agognate vacanze natalizie, giorni di assoluta libertà privi di zavorre, merende di plastica e banane nere dimenticate nei fondi delle cartelle. Giorni senza genitori urlanti, che invece di darti il buongiorno, ti svegliano minacciandoti. L'ultimo pegno da pagare era però la recita scolastica, l'ultimo lasciapassare, il momento dell'apoteosi celebrativa, quello in cui alcuni di noi sfioravano l'apice del ridicolo, quella con gli angioletti ignari dalle ali di carta dorata a far da tapezzeria, della cometa che non c'è niente che la tiene su. La stessa pantomima dalla prima elementare, cinque anni di Notte Santa, perché la fantasia della maestra era stata consumata da anni di pidocchi, genitori spaiati, e direttori al verde. I protagonisti eravamo sempre noi, le vittime della buona memoria che si accompagna alla giovane età. Ripetevamo quelle parole come un mantra, svuotandole di qualsiasi significato. Anche quell'anno io sarei stata lo stesso personaggio del presepe vivente: San Giuseppe. Avrei vomitato le identiche parole e mi sarei sentita in imbarazzo più che mai. Avrei potuto sostenere ogni ruolo perché sapevo ogni battuta a memoria: la Madonna con le doglie che si trascina appresso un asino svogliato, l'ostessa dei tre merli impietosa con una altra donna come solo le donne sanno essere.
No cara, tu fai San Giuseppe, come ogni anno. Certo mia madre non era come la madre della madonnuzza, che ogni anno si presentava con il vassoio di buccellati fatti in casa, la mia non era famiglia di ruffiani, i dolci mia  madre  li preparava per noi. - Dai forza cominciamo! - Consolati Maria del tuo pellegrinare, siam giunti ecco Betlemme ornata di trofei, potremo riposare che tanto stanco sono e tanto stanca sei... ecco stanca, la parola giusta, stanca di indossare i panni di un uomo vecchio e mite, uno che non seppe trovare un rifugio comodo per una poveretta in procinto di partorire. Signora maestra, io vorrei fare la madonna quest'anno, io me lo merito dopo tanti anni di san Giuseppe. Neanche per sogno signorina, che ti sei messa in testa? Era divenuta paonazza, incredula dinanzi a una improvvisa ribellione. - Luisa è la madonna e tu farai la tua parte. La delusione fu bruciante, e mentre io soffrivo e sentivo che il rossore aveva raggiunto le mie guance, Luisa gongolava, le sue orecchie a sventola si muovevano al ritmo del suo ridacchiare mentre  con la mano copriva i denti marci, troppi dolci di mammina. Io dentro covavo desideri di vendetta. Mi vedevo intenta a inzuppare di gocce lassative la merenda della madonnina, le avrei stimolato il parto. Oppure avrei messo la medicina nel succo di frutta che la maestra ci offriva prima della recita. Tutte in bagno a contendersi la tazza del cesso, ed io avrei avuto tutte le parti. San Giuseppe, Maria, osti, ostesse, cammelli, angeli e comete. Oppure,  mi venne in mente, che mi sarei potuta presentare alla recita senza il canonico grembiulino nero, una gonna corta magari rosso natale, il mio corpo stava già sbocciando e l'avrebbero visto tutti che san Giuseppe aveva le tette e belle cosce! E lei, la madonna, dalle orecchie alla Dumbo, sarebbe rimasta fulminata sul posto, verde d'indivia, lei che di sporgente aveva solo il naso.
Non accadde nulla di tutto ciò, fu l'ultimo anno in cui vestii i panni di un santo mite e rassegnato, lo feci con la serietà e il buon senso che mi avevano impedito di vendicarmi. Il tempo avrebbe rivelato alla bambina che essere donna è ben altro.

Adele Musso