La roba di
tempo si raccoglie tra novembre e febbraio, è il frutto della zagara
primaverile - dà limoni che cantano –, ma da queste parti le piante fanno
limoni due volte l'anno, come i cagnoli, una volta in autunno e una volta
d'estate - la produzione forzata – ma stai attento, non è cosa di tutti, ci
devi sapere fare, la pianta parla e la devi ascoltare, le devi guardare le
foglie, i pampini, a luglio va
sfoltita - in quel momento nascosti ci sono i limoni piccoli: si tagliano i
rami in eccesso, certo qualche limone se ne va lì in mezzo alle frasche, ma
quelli che restano – che meraviglia! - si ingrassano, diventano una gioia. É a
questo punto che interviene il maestro campagnolo: toglie l'acqua. Sì, alla
pianta gli fa desiderare l'acqua. La chiamano patienza: la pianta va in sofferenza, le foglie si afflosciano,
lei impreca acqua, te la chiama, abbivirami
abbivirami, lei dice, abbivirami,
certo chi ne capisce
qualcosa può sentire la voce soffocata, non certo tu che sei una patella da
scrivania...
Hai rotto i
coglioni, dice Antonio.
Questa è roba
importante, roba di campagna, stai zitto e ascolta, allora, ti dicevo: il
maestro campagnolo non si commuove, patisci pianta, patisci, e lei intanto abbivirami abbivirami ma tranquillo, è tutto sotto controllo,
il campagnolo sa quello che sta facendo. La pianta desidera e lui intanto beve
dal bummolo di terracotta che si porta dappresso – alla faccia della pianta che
grida abbivirami. Il maestro
campagnolo guarda il cielo, lo vede giallo come il sole e dice: ancora è
presto; afferra il bummolo e si cala altro mezzo litro di acqua; la pianta lo
guarda e non dice più abbivirami
abbivirami, gli grida un'altra cosa, devi morire di subito con l'acqua ai polmoni e buttare sangue dal cuore
a riempire una vasca e farti il bagno – che la pianta quando c'è parlare
da con tutti i sentimenti, se la fida. Poi, arrivati a tre quarti di luglio, il
campagnolo si decide e organizza la prima abbeverata, la prima vicienna. Finalmente la pianta la
smette gridare abbivirami e di insultare la madre del contadino.
Bene, non rompe
più i coglioni, dice Antonio.
Zitto. Si dà
l'acqua di notte perché il sole non la deve vedere, la terra così se la succhia
tutta, non ne lascia manco una goccia. A tre quarti di luglio. Due settimane
dopo, a occhio e croce, la seconda botta d'acqua, ovvero la seconda vicienna, ma è il campagnolo a
decidere quando, se qualche giorno prima o qualche giorno dopo, se dargliene tanta
oppure di meno; decide pure se è il caso di dare una terza vicienna. La pianta si prende
l'acqua, tutta quella che può, le radici assorbono e lei attisa, diventa verde brillante come
una femmina che si prepara per andare a una festa, e poi ringrazia: spara.
Si riempie di
fiori e ogni fiore è un limone e tutti questi limoni li raccogli all'inizio
dell'estate successiva. Li chiamano verdelli o bastarduna (questa è mercanzia che te la vendi a peso di tutti
denari). Negli altri posti della Sicilia la produzione forzata non la fanno –
non sanno parlare con l'albero -, perché di coltivare le piante così sono
esperti i bagheresi che loro strozzano gli alberi e pure il territorio.
(tratto da L'estate che sparavano)
(tratto da L'estate che sparavano)
Giorgio D'Amato