Giocano come fantasmi tra spire di lenzuola
sinuose. Afferrale, se scivolano verso terra s’interrompe il gioco. Sì, è anche
questo, in bilico sul limitare del buio e ombra.
In uno specchio che abita il soffitto e tra
le tende agitate dall’aria notturna, tra mormorii filtrati da labbra socchiuse,
indistinta è la voce, se appressi l’orecchio, ne avverti il fiato e il suo
umidore.
Bolle d’aria satura scolorano e si ripiegano
improvvise verso il basso. Sfuggono gambe, braccia oscillano scomposte, filtrano
umori dall’epidermide, un passo falso.
Dal lucernario il crepuscolo a sedimentare
sulla fronte, a scavare la ruga del leone, a sigillare labbra e palpebre. Le
pupille, fase Rem, rapidi movimenti, un tasto dopo l’altro, la sinfonia
sbavata, il ritmo imprevedibile.
Dimenticare strade, voli, volti, non si
corrono rischi, il trapezista senza rete, il funambolo senza corda.
Inconsistenze tattili, il mare non annega, la gravità non precipita.
In dissolvenza le ultime scene verso sistemi
di attrazione ovattata. Dimenticare quando l’iride si riaffaccia al volto,
quando il passaggio senza cataratta snida anche il più pigro dal suo luogo
segreto.
Sete, bere, perdere, come acqua che scivola nel
buco di un lavandino. Bisognerebbe, forse, inchiodare le farfalle dei
collezionisti.
Un panno su di un vetro appannato, via, colpo netto,
torna il ricordo.
Adele Musso