Gomez, è così che si chiama. O almeno, è così che l’hanno
chiamato. Sua madre doveva essere una brava donna.
La pioggia aveva la meglio sulla mia faccia stanca e i
ragazzetti organizzavano tornei di calcio nel centro sociale. Sapete, l’Africa
è stata nei miei pensieri per tre quarti della giornata. Il Senegal si estende
per oltre duecentomila chilometri quadrati, eppure Gomez è a Palermo, in un
vicoletto vicino Piazza San Domenico.
Mi racconta la sua storia: vive con altre
nove persone, in tutte le parti del mondo (e della città). Non possiede una
casa né una bella stufetta a gas di quelle che noi teniamo a casa. Il suo viso
è nero, le nervature che sporgono dagli occhi disegnano nell’aria tristezza e
malinconia. E’ piuttosto alto, ma la gentilezza che possiede si trasforma in
eleganza ogni volta che fissa i miei occhi; ha una sciarpa gialla, il giaccone
è scolorito, da una tasca viene fuori una matassa di fili che probabilmente usa
per rattoppare gli abiti. Non mi ha ancora raccontato la parte in cui ritorna
dalla sua famiglia e bagna i piedi, il cuore e l’anima nel fiume Gambia.
E’ in cerca di una casa, ormai è piuttosto chiaro. Mi
ringrazia più volte, eppure ancora non capisco. Una stretta di mano non
determina riconoscenza. Oltre il portone aspetta uno dei suoi compagni, che
inizialmente, per vergogna, rimane fuori. Pochi minuti dopo appare un grande
uomo di carnagione scura, ma sembra provenire dalla Turchia o dal Marocco. Si
scambiano qualche parole che io non riesco a decifrare, poi mi stringe la mano
e accenna un sorriso. Il nome di quest’uomo non l’ho ancora capito, ma le sue
orbite sfrecciavano come meteore. Infine, fissando il cielo, ho pensato alla
differente pigmentazione tra ‘noi’ e ‘loro’ (è così che gli occidentali
chiamano gli extracomunitari). In quell’istante ricordai la prima volta che mi
misi in bocca un pezzo di cioccolato, e sapete, non aveva un sapore così
brutto.
Gomez è reale, non è frutto di fantasia. Vive a Palermo, tra
i vicoletti della città. Probabilmente, la sua coperta è composta da polimeri
che formano un sacco della spazzatura XL. Il colore della sua pelle lo ha
aiutato a rimanere al caldo - il freddo, nelle stagioni invernali, si
accompagna al bianco.
Emanuele Scaduto