La poesia epica, giunta a noi sopratutto per gli scritti omerici mai riveduti (grazie, era cieco!) venivano recitati da cantori accompagnati da arpiste. Essi imparavano i versi a memoria anche se qualche volta, per il loro enorme numero, facevano come le mamme che leggono le fiabe ai bambini: saltano pagina.
Peculiarità dei poemi era provocare lo sviluppo abnorme di balle stratosferiche in ogni conviviale maschio/femmina costretto all'ascolto comodamente disteso e pronto al rutto digestivo dopo e durante il pantagruelico banchetto in onore di qualche divinità o ricorrenza tipo il 4 ottobre, 2 novembre o 2 giugno.
La presenza fissa di un megaeroe, villoso, di viagrana prestanza, difensore di patria, onore, deboli, fessi e fisse, era accompagnata da figure femminili slanciate, spesso di provata memoria, raramente in fase di apprendistato che, con la loro muliebrità, titillavano l'ego maschile.
Ecco comparire Criseide, Briseide, seminatrici di discordie e sempre pronte a fare intervenire i loro protettori, Ecuba l'attassatrice. Tutte diversamente chiam/vate dai loro uomini per svolgere il compito più piacevole nell'arco delle 24 ore. Da esse si distacca Andromaca che, non avendo preso le dovute precauzioni, ha dato alla luce un bimbo al quale per punizione dell'ovulo indesiderato viene dato il nome Astianatte.
La carrellata femminile prosegue con la ricamatrice furba Penelope che per sì e per no fa entrare nella reggia una manata di Proci, assumendo l'oneroso compito di profumiera; la maga Circe, proprietaria di un allevamento di maiali ed essa stessa golosa di carne suina - che mangia - e di carne umana - che spolpa in senso metaforico fino all'osso -, e la bonazza Calipso detentrice del titolo di più lunga prestazione avendo stretto fra le gambe per ben otto anni il sempre attizzato eroe. In ultimo l'ingenua Nausicaa che, mentre deve lavare il corredo nuziale, gioca a palla e resta incuriosita da due palline flosce distese sulla rena.
Dopo Ettore ed Ulisse giunge a noi l'eco di Enea, impresario occulto di pompe funebri (ha fatto fuori Creusa la prima moglie, eliminato il padre, spinto al suicidio la ingenuotta Didone pur di aumentare il profitto). Di Lavinia, sposata in seconde nozze, non si hanno notizie certe, tranne che il suo notevole impegno nel procreare un pargolo a cui sarà dato nome Urbe et Orbi.