Il romanzo cavalleresco deve
la sua popolarità e la sua diffusione al fatto che a quei tempi non esistevano ancora vegani
sulla terra, per cui si potevano sfruttare i cavalli e scannare i draghi,
inoltre le auto non erano state ancora inventate, altrimenti col cavolo che
quei poveri cavalieri indossata la maglia della salute di ferro si sarebbero appollaiati
in groppa a ronzinanti fracchi che non si arrivava mai.
Li chiamavano da ogni dove, e
una volta bisognava difendere l’onore di una principessa (che spesso di bello
aveva solo le proprietà), e un'altra combattere una guerra santa o addirittura
cercare il senno di qualche svaporato sulla luna.
In realtà ai cavalieri
sarebbe piaciuto rimanere a casa, fare la calzetta, spinzettarsi le
sopracciglia, una french manicure. Si vocifera che sotto le armature
alcuni portassero delle belle calzamaglia rosa, altri calze a rete, e non perdevano occasione di farsi il piedino sotto la tavola rotonda.
Di solito il poema cominciava
con una bella invocazione alle muse, che se quel giorno l’avevano storta o peggio
ancora avevano il ciclo, hai voglia di invocare. E dai, ti prego Calliope ispirami! –
No, oggi non mi va sono stanca, quel toscanaccio con il naso grosso, un certo Durante, mi
ha fatto fare gli straordinari. Quello sogna, si sveglia e chiama. Ma oggi l’ho
mandato all’inferno!
Ed era inutile che il poeta
le dicesse che gli faceva male la protasi, lei se ne fregava e ciarlava con le
altre Muse.
E qual era il linguaggio
adoperato? I versi, e che versi, a quanti ragazzi della cattiva e della buona
scuola sono cadute palpebre e braccia nel tentativo di capirci qualcosa.
Linguaggio solenne? No, solenne camurria. Ottave e rime.
Messere
mi permette di passarlo a filo con la mia Excalibur, mi consenta, ma lei non se
la doveva trombare la pulzella Ginevra.
Prego
faccia pure, si accomodi, ma non sia lemme, all’imbrunire ho un drago da
sopprimere e subito dopo devo correre a liberar Gerusalemme.
Il lettore siculo
palermitano è sicuramente un estimatore del genere, abituato a pupi e paladini,
egli predilige tra tutti i poemi: l’Orlando furioso, figura ricorrente e
rieleggibile, che dimora nel castello delle Aquile, che esce una volta l’anno
sfilando su un carro insieme a una certa Rosalia inseguito da una folla
inferocita che strafoga babbaluci e
simenza. Pare che durante il resto dell’anno l’Orlando si diverta a
strappare alberi che scambia per mulini a vento e a scavare gallerie alla
ricerca del senno perduto e spesso dimentica di farsi lo shampoo.
Adele Musso