Si sono rotti i piatti – lo ha detto come se lei non
c’entrasse niente, con un’espressione ebete a supporto di un
candore impossibile, o della consapevolezza che ormai i piatti erano rotti e un
rewind non esiste in questi casi, che per volontà di un destino perverso i
piatti sono finiti per terra, dopotutto sono fragili per costituzione, non sono
di ferro, sì, la ceramica, se cade si rompe, lo
sanno tutti, ma Giovanna nel guardarmi - non per scusarsi dei suoi eccessi -, non
mostrava alcun senso di pentimento, se i piatti si erano rotti la colpa era
solo dei piatti, no, era altro che voleva comunicarmi e io lo percepivo.
Non ci posso fare niente.
Piatti che si suicidano, sì, i piatti si sono rotti, non ne
potevano più di ospitare il cibo schifoso che tu cucini, per questo si sono
lanciati dalle tue mani, lo hanno voluto loro, piatti determinati, così hanno
deciso, tu non c’entri niente. Poveri piatti del cazzo, piatti cretini che se
ci avessero avvisato non li avremmo comprati, bisognava capirlo che avevano una
funzione auto distruttrice insita, la scadenza, esattamente come le uova, il latte, il
lievito, piatti che decorso il termine cercano un pavimento.
Avevo voglia di esplodere e dirle che era una cretina, e
rompere pure io qualcosa, un oggetto a cui lei tiene particolarmente, distolsi
lo sguardo in cerca di qualcosa, forse la brocca o il vaso di cristallo, il suo
cappotto, avrei potuto tagliarlo e dire che il poveretto aveva convinto le lame
a chiudersi sui suoi tessuti, o del vino rosso sul suo cappottino attillato a
tinta unita, una specie di avorio-panna così introvabile – banalissimo per me,
prezioso per lei quando vanta lo stile del suo indumento -, poveraccio aveva
sete, qualcosa di forte desiderava, uno strozzabudella, sì, il suo cappottino
aveva sete. Perché non farlo, capita che cappotti e piatti si annoino, giocano
al parapendio, si fanno una sbevazzata.
Rimasi in silenzio perché ebbi la sensazione che avrebbe
potuto rompere altre cose.
Bene. Vado a prendere la scopa e la paletta.
Tu non prendi niente.
Voleva rompere dell’altro, era chiaro, era evidente, non
aveva raggiunto la sua missione, i piatti erano solo le prime vittime di una
serie di atti scellerati, di un pomeriggio da trascorrere in cambiamenti di
stato – intero rotto, intero rotto. Restare impassibile o fregarmene e comunque
prendere scopa e paletta, bisogna fare qualcosa, dire qualcosa no, si sarebbe
avvitata alle mie parole comunque, poco importa quali fossero state, comunque
inopportune, attaccabili, da canzonare per passare alla seconda fase del suo
iter folle.
Tu sei pazza, Giovanna, tu sei pazza.
Giovanna chi?
Giovanna chi?
Giorgio D'Amato