Quando traslocammo
dalla nostra terza casa avevo già finito la seconda elementare; mia sorella
aveva un fidanzato e una sera lui portò nella nostra nuova casa i suoi
genitori. Mia madre offrì loro un liquore alla cannella e uno alla menta;
mangiammo pasticcini alla mandorla e mia sorella ricevette un anello d’oro bianco
con delle piccole pietre trasparenti .
Io dovetti cambiare scuola, lasciai il
palazzo delle suore vincenziane, la scuola più ambita del paese e cominciai a
frequentare alla scuola pubblica, in quel quartiere tanto affollato. La mattina
mentre andavo a scuola passavo davanti alle botteghe che vendevano di tutto,
dalla frutta ai quaderni; c’era un via
vai frenetico di bambini che compravano qualche leccornia da mangiare a scuola; io
amavo le cotognate e le liquirizie, certi giorni prendevo una liquirizia e
altri giorni la cotognata, mai tutt’e due le cose, come avrei voluto; a volte
prendevo solo qualche animaletto di biscotto perché bastavano solo cinque lire
per averne cinque, prendevo sempre il cane e il coniglio, qualche volta anche
la giraffa e l’elefante. Ora portavo il grembiule nero con un fiocco bianco;
invece nella scuola delle suore tutti i bambini erano vestiti di bianco e
portavano il fiocco blu, o rosa. In quella scuola quando a fine trimestre avevi
buoni voti come premio ti veniva messa una fascia tricolore che portavi addosso
tutto il giorno; una volta io tenni la fascia fino a quando andai a letto; quel
pomeriggio ritardai a fare i compiti perché rimasi in giro dopo essere andata a
mostrare la fascia a mia nonna. La nonna Rosa mi sorrise e mi portò su nella stanza da letto che odorava di pipì, aprì l’armadio
e mi diede una delle sue taralle con la
glassa e mi chiese di recitarle una poesia; recitai mentre con il pollice e l’indice
tenevo sollevati gli angoli del mio vestito , la nonna si complimentò con me ma
poi mi disse di tenere il vestito giù; io ne fui risentita. Anche nella nuova
scuola si studiavano le poesie a memoria e le recitavamo in classe dopo aver
detto le preghiere e prima che la maestra cominciasse la lezione. Una volta a
settimana la maestra, una donna bassa e
cicciottella che veniva a scuola con una cinquecento Fiat, ispezionava le
nostre teste per accertarsi che non avessimo i pidocchi. Mia madre un
pomeriggio mi portò da una signora che con due forbiciate fece cadere a terra
le mie trecce, non piansi, perché mia madre mi disse che la testa deve
contenere tante cose per poter pensare e
che era meglio tenerla leggera, così la signora mi confezionò un nuovo taglio di capelli a caschetto, allora molto di moda; anche molte mie
compagne portavano il caschetto, invece una aveva i capelli lunghi e li teneva sciolti sulle spalle, i suoi
capelli si muovevano liberi anche sugli occhi - forse era anche per questo che non
imparava le lezioni e non faceva mai
bene i compiti, pensavo - mi piacevano tanto i suoi capelli, avevano uno
strano odore, erano lisci e dritti
mentre i miei erano crespi e gonfi e non c’era modo di farli stare giù;
spesso la sera mia madre li spazzolava e
poi me li stringeva in un fazzoletto e poi dormivo male; la mattina non appena uscivo da casa i
miei capelli prendevano aria e si gonfiavano come una mongolfiera, rimpiangevo
le mie trecce ed invidiavo i capelli di Letizia che erano lisci, unti e
odoravano di canfora.
Rosa La Camera