La
signora Carla cammina con la testa inclinata a destra, l’orecchio quasi le
sfiora la spalla.
L’ho
veduta stamattina, stesso ascensore del sovrappasso, stesso percorso. Lei è
rapida con il suo impermeabile blu e un ombrellino richiudibile che le penzola dalla
mano destra.
Nessun
medico è riuscito a raddrizzarla. Fisiologicamente sana, nessun danno
cervicale, nessun danno apparente, ma i dottori non conoscono la vita della
Carla, e nessuno di loro si preoccupa di chiedere a una paziente: signora ma
lei come si sente veramente?
La
Carla è timida, forse rincantuccerebbe ancora di più la testa verso la spalla,
quasi a chiudere la conchiglia dell’orecchio sinistro, nel gesto di una
chiocciola che si ritira dentro il guscio.
Oppure
starebbe buona buona e zitta zitta. Non è facile tirarle fuori le parole, lei è
una ricevitrice non un battitore.
La
osservo e ripenso alle chiacchiere del quartiere. Il marito le urla dentro
quell'orecchio, lei dorme dalla parte destra del letto e lui le russa dentro. E
urla oggi urla domani le si è spostata la testa, se la guardate bene anche i
capelli non sono mai a posto e ha provato tanti medici e altrettanti parrucchieri,
ma non c’è aggiusta ossa o bigodino che tenga, storta è e storta rimane.
E
l’altro orecchio? Egoista o semplicemente cauto? Quello è un gran pettegolo,
racconta alla spalla tutto quello che accade dall’altra parte anche se finge di
non sentire, come se le cose non lo riguardassero. E se l’occhio destro non sa
cosa fa il sinistro, un orecchio non può fingersi sordo.
Sono
dietro di lei, tre o quattro passi, non di più, ipnotizzata dall'ombrellino
segnatempo e a un certo punto inclino la testa, la piego lateralmente imitandola.
Incurante degli altri, voglio guardare le cose da una nuova angolazione.
Poi
mi raddrizzo di scatto.
La
signora Carla è una donna di raro equilibrio, non lo si direbbe a guardarla.
Lei è una dosatrice, che neppure un farmacista alchimista. Dosa pazienza e
rabbia, la centellina e la gusta in solitudine, le si è raggrumata tutta sotto
le ginocchia che la domenica mattina poggia tra la quarta o la quinta panca
della parrocchia. La pazienza invece da anni dorme in mezzo al letto con loro.
A
lui non importa per niente di avere una moglie storta, l’importante è che
faccia ciò che deve e per quello bastano le mani e due gambe svelte e una voce
tonante a dare ordini.
Lo
sentono tutti nel quartiere, la loro casa ordinaria (come la nostra) dà su un
ballatoio interno, dove s’affacciano appartamenti ordinari di poche stanze, stanno
al terzo e quando lui starnutisce provoca uno spostamento d’aria che persino i
bambini, lasciati nei balconi, sobbalzano.
La
signora Carla sussulta ma si ricompone subito, con le mani liscia la sua gonna
e riprende a tagliare cipolla e sedano, forse aumenta la velocità, ma è precisa
e non si ferisce mai. L’orecchio appoggiato sul collo se la ride, a lui tutto arriva
sommesso, e neppure lacrima mentre i vapori della cipolla s’alzano, quello è
compito degli occhi.
Succederà
tragedia dico a mia madre, lei al solito stira che forse glielo ha raccomandato
il medico. Signora una due stirate al giorno, prima e dopo i pasti. A vapore mi
raccomando.
Ma
quando mai, è una vita che fanno così, lui urla e lei si torce.
Appunto,
è qualche ora che non si sentono voci.
Sai
che hai ragione. Posa il ferro da stiro che sfiata come una balena accaldata e
si mette alle mie spalle, hai ragione.
Tra
il fiato di mia madre e il colpo secco della cosa che vedo volare attraverso i
vetri dall'alto verso il basso è un alito di tempo.
Restiamo
entrambe immobili per un momento e con noi ogni finestra, le tende i
chiavistelli e le verande abusive, lo sferragliare, lo spalancare e il rumore
di cardini vecchi arrivano dieci secondi dopo.
Oh,
Giuseppe e Maria, oh Gesù!
Mamma
lascia stare i santi e la sacra famiglia, che mi sa che quella della Carla ha
subito una sottrazione.
Ma
che cosa è?
Supero
l’orrore di quel sacco scomposto sul ballatoio, credo sia una delle morti più
orribili. Guardo, respiro, non è la signora Carla.
Qualche
stronzo che getta la spazzatura dal balcone.
Tutte
le finestre sono occhi, siamo tutti con il mento verso il collo, girasoli
dell’orrore verso il basso. Muti, per poco, poi i commenti da cinciallegre in
gabbia.
Nemmeno
ci fosse Sherlock Holmes, nel giro di mezzo minuto abbiamo individuato l’origine
dello sputo informe e mentre mezzo isolato si riversa nel ballatoio, io vado a
bussare alla porta della Carla, con mia madre attaccata alle spalle.
La
porta è socchiusa, busso lo stesso. La targhetta sotto il campanello mi rivela
il cognome di entrambi. Gli appartamenti sono tutti uguali, ordinari e
prevedibili. Lei è seduta al tavolo della cucina piccola e ordinata, avverto l’odore
di verdure appena tagliate, una pentola pronta per accoglierle. Mi pizzicano
gli occhi, le cipolle. La signora Carla muove lo sguardo verso le sopracciglia,
io cerco tracce del marito, il resto della casa è silenzioso.
Mia
madre le si avvicina, non la tocca, si guarda in giro e sfiora una pila di
biancheria ben stirata da riporre, penso che appena ho un momento la porto da
un dottore, (ha una sindrome e questa prima o poi mi sballa).
È
di là. Lo dice con l’orecchio, come se fosse possibile parlare attraverso un
orecchio, quello che le poggia sul collo e pare abbia vita propria, (anch'io
prenderò un appuntamento).
Seguo
la scia di quelle parole e lo trovo, è seduto sul cesso, anche qui porta
socchiusa, ha gli occhi strabuzzati, il viso chiazzato di rosso e una mano sui
calzoni l’altra penzola e mi ricorda l’ombrellino blu. Un colpo, un infarto,
non c’è sangue, solo puzza di merda, quella arriva forte e penetrante.
Mia
madre si sta complimentando con la signora Carla, la sento chiederle se usa
pezze di lino o di cotone sui pantaloni da uomo.
Appena
mi vede tace.
Dal
ballatoio arrivano voci, vastasi, le cose
vecchie qua si buttano? Non c’è più mondo.
La
signora Carla parla piano, osserva le carote e i ciuffi verdi, non usa verdure
surgelate, le tolgo il coltello delicatamente dalla mano. Apro l’acqua e in un
gesto automatico lo libero dai residui.
Quando
ho capito che era morto, ho preso le sue cose e le ho messe dentro il sacco di
quelli grandi neri, come lui, ho fatto quello che avrei dovuto fare anni fa, le
cose che amava davvero le ho gettate dalla finestra, e in quel momento io ero
dritta ve lo giuro.
Sarà
stato lo sforzo.
Zitta
mamma.
Non
voglio più niente. Appena lo porteranno via, potrò dormire e girarmi sull'altro
fianco.
Si
alza getta le verdure dentro la pentola.
Noi
andiamo, le dico.
Ha
bisogno di qualcosa? Dice mia madre.
Chiamo
le pompe funebri. Ho tutto quello che mi serve.
Non
dimentichi di riporre la biancheria o si impuzzerà.
Adele Musso