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martedì 5 luglio 2016

Terra d'Africa

Della mia terra conoscevo gli animali affamati, ogni loro verso. Conoscevo i leopardi, come sfuggirgli. Con mia madre, in fuga da branchi, davo il primo vagito.
Contro questa natura, aspra, potente, imparai a combattere, ogni giorno, contro il cielo asfissiante, le foreste insidiose. Lì piantavo anche la mia casa. Quella che facevo con le mie mani, di paglia e di fango e che rifacevo da capo, ogni volta, disfatta dalle piogge pesanti o spaccata in due, dal caldo e violento Harmattan.

Non ero schiavo e non ero colto. Il mio passo era quello di un animale veloce, e dalla savana migravo, al seguito di zebre, antilopi e gnu.
Strappavo frutti alla mia terra e, se riuscivo a sfamarmi, sapevo che era grazie al sorriso della fortuna. Vivevo difendendomi da tutto, anche da gente uguale a me. Difendevo il mio villaggio, il fiume, che ci dissetava e sfamava. A lui, poi, dedicavamo i canti del buon auspicio, le danze della buona sorte, perché nella stagione dura non diventasse il nostro peggior nemico.

Mi chiesero una mano perché li guidassi nel loro cammino, li difendessi dai rinoceronti, dai serpenti, dai ragni delle dune, mi sorrisero.
Penetrarono le visceri della mia terra e mi mostrarono cose mai viste, il liquido nero e le pietre scintillanti.
E portarono tutto via.

Adelaide J. Pellitteri