l' impiegato comunale, glielo disse che Incarnazione era troppo lungo e come terzo nome non glielo potevano mettere, ma lui si incacchiò e fece tale putiferio che alla fine pretese e le impose il nome di Mari trattino Lù. Fu u 'Zu Turiddu a spargere la notizia paese paese, perché lui era postino e messaggero di Dio, vecchiette e pettegolezzi vari.
Sin da piccola, la bimba venne affidata alle cure di una dottoressa tale Adelita Sessiottin, che la prese sotto le sue ali protettive, infatti, la bimba aveva manifestato delle turbe premature. Queste erano iniziate alla vista ru 'Zu Ignazio, che con la coppola in testa e la mano tremante, stava seduto sempre sulla stessa panchina, in piazza, vicino il negozio dei cugini di Maria - Lù.
La bimba era fortemente attratta dalla coperta di lana a quadroni colorati, che lo zio teneva sulle gambe e anche dalla mano che gli tremava, e già si chiedeva il perché di tale movimento. Molti anni dopo scoprì che si trattava soltanto del morbo di Parkinson, e lì si accentuarono le turbe. Che delusione! Tutti gli sguardi che lo zio le aveva offerto erano andati persi, quelle che lei pensava fossero avance, anch'esse perdute. Non era stata oggetto di un amore malato ma solo di un malato. Capì la verità: lo zio non la voleva. Così piccola già rifiutata, il destino infame le aveva fatto incontrare uno zio non pedofilo. Altre non avevano avuto la stessa sfortuna. Passarano gli anni, Lù si faceva bella, ma fattezze, comportamenti elefanteschi, troppo sicuri, decisi, la distinguevano. Le sue movenze maschili, forti, da camionista attiravano anche il gentil sesso. Si chiamava Lucrezia e già le guardava cosce dal balcone. Si trattava di una ragazza Ucraina che abitava proprio davanti casa sua. Uscirono una sera, una birra e un piatto di patatine fritte, che lei adorava, e così mentre stava per assaporarla capì che la lingua straniera non le piaceva. Non la comprendeva fino in fondo.
La bimba era fortemente attratta dalla coperta di lana a quadroni colorati, che lo zio teneva sulle gambe e anche dalla mano che gli tremava, e già si chiedeva il perché di tale movimento. Molti anni dopo scoprì che si trattava soltanto del morbo di Parkinson, e lì si accentuarono le turbe. Che delusione! Tutti gli sguardi che lo zio le aveva offerto erano andati persi, quelle che lei pensava fossero avance, anch'esse perdute. Non era stata oggetto di un amore malato ma solo di un malato. Capì la verità: lo zio non la voleva. Così piccola già rifiutata, il destino infame le aveva fatto incontrare uno zio non pedofilo. Altre non avevano avuto la stessa sfortuna. Passarano gli anni, Lù si faceva bella, ma fattezze, comportamenti elefanteschi, troppo sicuri, decisi, la distinguevano. Le sue movenze maschili, forti, da camionista attiravano anche il gentil sesso. Si chiamava Lucrezia e già le guardava cosce dal balcone. Si trattava di una ragazza Ucraina che abitava proprio davanti casa sua. Uscirono una sera, una birra e un piatto di patatine fritte, che lei adorava, e così mentre stava per assaporarla capì che la lingua straniera non le piaceva. Non la comprendeva fino in fondo.
Anche Tares fu affascinato da lei. Non si trattava della tassa, - certo la coincidenza del nome non era irrilevante - sto parlando di un piccolo bastardino meticcio, un cagnolino che le faceva le feste tutte le volte che la vedeva, saltava, andava e veniva sulle sue gambe, la adorava. Mari - Lù lo guardava e non capiva come mai il cagnolino si comportasse così. La verità era che tutti la amavano, lei aveva qualcosa, qualcosa di nascosto, sì qualcosa che, mah...non conosceva neppure lei. Forse il nome, il trattino o l’ accento che tirava fuori al momento giusto catturavano attenzione. Ecco che la vita le metterà dinanzi tante occasioni, ma quel quid indefinibile, sarà quello l’elemento perturbante.
Roba veramente da ridere! E si fece davvero delle grasse risate, un po’ isteriche a volerci ragionare sopra, quando ripensò all’incontro con quel tipo, quello, lo scrittore, che a sentirlo pavoneggiare pareva dovesse averci almeno un incunabolo in quel posto là, invece aveva appena una edizione tascabile e nemmeno rilegata come si deve. Sì, un tipo che la buttava sul ridere, un maestro dell’umorismo nostrano - ti faceva ridere tanto che s’offuscava la vista e il battaglio finiva per confondersi tra le campanelle.
Mari-Lù capì che lei non rientrava nella categoria delle donne alle quali se chiedi cosa vuoi da un uomo, quelle rispondono: Che mi faccia ridere, no, lei avrebbe risposto: Che mi faccia godere! E quello non era cosa.
Non fu cosa neanche l'altro, quello che si stava spogliando in quel momento, bassotto e troppo lento, come un rosario, una preghiera, un indumento, uno dopo l’altro. Mari-Lù insistette molto affinché lui si mettesse a nudo, voleva vedere cosa c’era oltre il carisma e la voce che le piacevano tanto e quando pareva che tutto fosse pronto, lei si accorse che gli era rimasta ancora una cosa indosso, e non ci poterono neanche i santi a fargliela togliere. Lui voleva farlo con il collarino bianco al collo, il clergyman, quella cosa là, fu allora che lei realizzò che qualcuno sarebbe sempre stato tra loro, qualcuno del quale mica ci si poteva sbarazzare così su due piedi. Quel coso bianco assunse la forma del serpente tentatore, e allora di botto Mari e il suo trattino Lù si alzarono, recuperarono la merenda portata da casa (trippa al sugo) e se ne tornarono a casa di gran carriera.
Lei scappava sempre, o almeno ci provava. Ma era arrivato il momento dei bilanci, seduta sul divano a riguardare tra le mani i regali dei suoi spasimanti, e con i piedi umidi dalla pipì di Tares. Osservava smarrita le manette piumate che le aveva regalato il baby poliziotto, lo stetoscopio rosso fiammante del primario fedifrago e il kit del piccolo falegname, fu allora che lei comprese, che era venuto il momento di schiarirsi le idee. Basta! Basta con questi tipi strampalati! Doveva eliminare quel maledetto trattino che le aveva condizionato la vita. Fu così che Mari - Lù ci mise un punto e comprese che a furia di voli pindarici sarebbe finita sfracellata da qualche parte, si concentrò e disegnò nella sua mente, quello che definì subito l' Immaginato, l’uomo dei suoi sogni. Un uomo banale q.b.
Adele Musso e Nina Tarantino