Google+

lunedì 2 marzo 2015

La scala


E’ da giorni che rimando.
Sotto il nostro appartamento c’è un magazzino enorme, appena una stanza in meno rispetto al luogo in cui viviamo.
Una cattedrale di oggetti, un cimitero di abiti smessi, televisori non riparabili e sedie sfondate, scatole di cartone come barboni sfrattati. Al piano superiore invece regna un ordine innaturale, si va avanti per sottrazione, ciò che sparisce alla vista ha soltanto cambiato livello. E’ il freddo a colmare gli spazi rimasti.
Quest’appartamento è più grande, non rimpiangeremo la vita in città.
E chi se le scorda queste parole?
Da quando abitiamo qui ho capito che dal freddo non puoi difenderti. Da bambina mi mandavano a comprare il pane, una volta a un uomo sentii dire che di freddo si muore.
Con i tacchi, sei pazza?
No, sono solo stanca di sentire freddo.
Perché sei già qui?
Sono uscita prima da scuola.
Allora o mi dai una mano o stai zitta.

Mia figlia posa la cartella vicino il tavolo della cucina vecchia e mi regge la scala. Sento la sua disapprovazione, tra un gradino e l’altro le promesse non mantenute di una vita migliore, lontana dal caos cittadino (il caos ce lo siamo portato appresso).
Non ce la faccio a tenerti la scala, non c’è abbastanza spazio.
Non importa.
Devi farlo proprio adesso, non puoi aspettare che lo faccia papà?

Sono salita, con una mano mi reggo alla scala, con il braccio sinistro cerco appoggio alla scaffalatura di metallo che arriva sino al soffitto. La stufa è sull'ultimo ripiano alla mia sinistra ed io non sono mancina. Le distanze ingannano.
Se aspetto tuo padre, arriva primavera.
Cercavo solo di farti ragionare.
Sono in cima. Ho un gran mal di testa, niente di speciale, il solito, quello che lo spinge a girarsi dall'altra parte del letto, sempre più spesso. Ho provato a dire qualcosa per smorzare la tensione. Cerco d’avvicinare la stufa verso di me per riuscire ad afferrarla saldamente, la mano destra mi serve per reggermi alla scala. La stufa si sbilancia e vola giù. Poco male. Non ho mai visto lividi sugli oggetti. Mia figlia sta zitta, non si è mossa come una sentinella. Sento i suoi occhi che mi accusano. Non la guardo, mi concentro sui gradini, sembra più facile andare verso il basso. Scendo velocemente, devo recuperare la stufa. Funzionerà ugualmente. Ho i piedi sul pavimento, sono fuori pericolo. (Adesso bisogna spostare la scala e infilarsi tra le cianfrusaglie ammassate vicino allo scheletro di metallo).
Dobbiamo trovare il tempo alla fine di liberarci di tutte queste cose o ci seppelliranno.
Comunque c’è un gatto morto.
Cosa? Che dici?  
Là davanti a te, c’è un gatto morto.
Il gatto è stecchito da tempo, vedo la testa piccola o meglio la nuca e la coda che penzola, non c’è proporzione tra la testa e la coda, una pelliccia da vecchia.
Perché non me lo hai detto prima?
Saresti caduta dalla scala.
Brava.
Sembra che dorma.

E’ rientrato al solito orario. Tardi. Un bacio replica dei precedenti, con le labbra immobili, come timbrare un cartellino.

Adele Musso

“E hai ottenuto quello che volevi da questa vita
nonostante tutto?
Sì. E cos'è che volevi?
Potermi dire amato,
sentirmi amato sulla terra.”

Raymond Carver