Mi chiamo Acacia Albeata ma così il mio nome non dice nulla, meglio usare il mio nome comune, mimosa. Sì, esatto, io sono quell'albero con fiori gialli limone a pallini che riempie di colore le strade e le campagne in primavera. La mia infiorescenza è nota in tutta il mondo da quando, quasi settant'anni fa, la comunista Teresa Mattei dell'Unione Donne Italiane mi scelse per simboleggiare la festa della donna anche se il mio dovere lo faccio da oltre 100 anni quando mi scelsero per commemorare alcune operaie americane morte durante un incendio in fabbrica.
Mi hanno pure dedicato una torta, la mimosa, con crema gialla e tanto pan di spagna giallo limone sbriciolato o a cubetti a copertura, solo che lei la vendono tutto l'anno, i miei fiori invece solo l'otto marzo chiusi in coppetti di carta o di cellophane e venduti a prezzi salati da soli o in compagnia di altri fiori. Dal giorno dopo torno ad essere quell'albero infestante che cresce ovunque e facilmente, proprio per questo appartengo alla categoria di piante pioniere, quelle cioè che crescono per prima in un territorio. Altri mi usano come pianta ornamentale.
Ho pure una cugina, ma lei non esce mai, si vergogna e non si riconosce nel florilegio di donne infoiate che la sera dell'otto marzo vanno per locali a mettere le banconote negli slip degli strip men. Lei appunto è la mimosa pudica e per questo poco conosciuta. Il mio fiore giallo invece è più spavaldo, lo puoi trovare sopra i tavolini dei ristoranti o dei pub, in vendita sopra dei mezzi ambulanti negli angoli della città, fra i capelli delle ragazze, disegnata sulle cartoline d'auguri, negli occhielli delle giacche degli uomini simpatizzanti.
Proprio perché sono infestante e non voglio farmi mancare nulla mi hanno intitolato un romanzo a tematica gay e presto anche un film.
Peccato si ricordino di me solo un giorno all'anno. Mi sento come quegli insetti che vivono un giorno solo; da domani tornerò ad essere quell'albero giallo ai bordi dei viali che sporca, che crea allergie, che infesta.