Il selciato traballa sotto
il mio peso, mi concentro per non cadere, bilancio il baricentro, sono lontana
dal mio quartiere, non mi conosce nessuno, non m’importa se guarderanno la mia
carne stretta nella morsa di questa tuta scura, (il nero sfila) io corro non mi
accorgo che i piedi sono unico arto, che mani e braccia non esistono più. Anche
il mio cervello corre e quasi si lisciano le pieghe nello sforzo. Cento chili e
passa di lardo, il respiro ansante, la grandezza non si accoppia con la
potenza. Il cuore vorrebbe uscire dallo sterno, soffoco nel mio stesso fiato.
Qui non ti vedono neppure,
figurette snelle, atletiche concentrati nell’allenamento. Uno mi ha quasi
investita, avrei potuto toccargli i capelli e quello che gli sta in mezzo alle
cosce, strappargli quei pantaloni che gli fasciano l’inguine; ma le mie dita
porcine, sudaticce, chi le vorrebbe addosso? Grasso e le lacrime di rabbia, sudo
ma non perdo un grammo, solo la ragione.
Lascia
stare non hai speranze… Eccola la sua voce fastidiosa, cattiva
direttamente dal diaframma, una voragine spalancata. Fermati, sono stanco, dai che è ora di fare uno spuntino, c’è tanto
spazio da riempire.
E’
inutile che corri, non puoi sfuggirmi, ho fame, presto spingi in questa bocca
tutto ciò che vuoi. So che lo vuoi. So che lo rifarai.
Amante insaziabile,
sanguisuga enorme, appiccicosa irrorata di sangue, mai paga. Afferra tritura e
vomita dentro di sé.
Non sono sufficienti le
cuffiette. Aumento il volume al massimo, taci.
Che bella bambina, paffuta,
che guancette tonde, come mamma e nonna. Grasso a trasmissione ereditaria. Adesso nessuno più mi fa complimenti, eppure
non sono cambiata molto. A scuola era stato difficile, la crudeltà dei bambini
non ha eguali. Vestirsi, andare al mare, spogliarsi, gli occhi che ti prendono
le misure. Io non sono questo corpo, è soltanto un involucro.
Oggi ho l’appuntamento.
Si
spogli e cerchi di non imbrogliarmi. Tranquilla, regge, regge. Stronzo
e devo anche pagarlo, a lui piacciono le donne grasse, le vede come forzieri da
svuotare. E’ lui la chiave, ci prova pure, uno sfioramento distratto,
involontario. Io avvampo, abituata al nulla, all’indifferenza maschile. Se
l’odio pesa saremo in due a salire sulla bilancia. Ha promesso sorridendo di
cambiarmi la vita.
Quando mette il piede in
fallo, io sono ancora immobile, lo vedo perdere l’equilibrio, cercare di
afferrarsi all’asta di metallo che misura l’altezza.
Se la trascina dietro,
trascina anche me. Lui, l’asta, io. L’estremità della barra gli sfonda il
cranio, trapassa la materia grigia. Una vocina soddisfatta mi sussurra: cervella fritte. Lui non ha avuto tempo
di emettere un fiato, l’aria è uscita di schianto sotto il mio peso, io sono
una tartaruga rovesciata. In sala d’attesa hanno sentito il botto, le signore
rotonde si affacciano disperate alla porta, avverto l’odio, evapora dalle bocche
spalancate e mi si appiccica addosso. Chi avrebbe dato loro, il giorno libero?
Adele Musso