Il romanzo ottocentesco non
sarebbe mai stato scritto se le verdi campagne inglesi non fossero state
popolate da pastori protestanti, con fregole alle stelle, che generavano figlie
destinate a rimanere zitelle come se piovesse.
Fanciulle sospiranti e sospirose
che con grande fantasia e osservando la natura (accoppiamenti di capre e
bestiame vario), comprendevano che a loro forse stava sfuggendo qualcosa della
vita, che l’unico sussulto non era quello provocato dal pungersi con l’ago del
telaio; o imparare lingue morte da istitutrici zitelle e povere in canna. Altre
lingue volevano imparare.
Altra caratteristica del personaggio femminile del genere
letterario romantico è l’istinto del cane da caccia, detto anche da cane di
brughiera, che le fanciulle sviluppavano alla vista di esemplare maschio
(raro).
Tutte le signorine sopra un osso.
Altro elemento fondamentale è la
fantasia, come sarebbero altrimenti potute sopravvivere, per esempio, le
sorelle Bronte, che l’unica vista di cui godevano dalla loro abitazione erano
le lapidi della canonica di Haworth, lapidi color verde guano d’uccello. Uccello morto.
Per scrivere un romanzo
romantico bisognava preferibilmente esser rimaste orfane in tenera età, avere
un padre mezzo parrino, camera con vista cimitero, un amore (inventato) non
corrisposto e beccarsi la tisi attorno ai venti anni. Una brughiera ventosa era
il tocco finale.
Che sfiga!
In realtà queste povere
ragazze represse avrebbero voluto copulare con tutti: stallieri, maggiordomi,
lattai, qualsiasi bipede del circondario. E invece a sospirare da mattina a
sera. La soluzione scrivere, scrivere come delle forsennate tra un sospiro e un
colpo di tosse.
Di solito il romanzo
cominciava con una bella epistola, dove tra sfoggio di ottima educazione e
descrizione di abiti e malanni di stagione, si scrivevano almeno tre pagine per
non dire nulla e si viveva in attesa di una risposta che impiegava sette giorni
di cavallo e due di locomotiva per arrivare.
Per citarne uno tra tutti,
ecco Cime Tempestose, io, in verità non ci ho capito granché, se non che Emily
Bronte aveva una grande passione per le previsioni metereologiche, e che
sicuramente lei e le sue sorelle, a scopo curativo si facevano di qualche erba
medica che procurava visioni e sdilinquimento, così si materializzavano fantasmi,
uomini incazzati e donne con le idee confuse.
La voce narrante, certa
Antonella la portinaia (Nelly per gli amici), era una grande sparrettiera,
sapeva tutto di tutti e infarciva di particolari le solite storie di liti tra
vicini, storie di corna vendette e proprietà, altro che amore! Soldi che non
bastavano per pagare dottori e specialisti che là avevano tutti dolori alla
cervicale per il gran vento che soffiava. E certo Heathcliff (che come caspita si
pronuncia?) si affacciava mezzo nudo alla finestra per spiare quell’armuzza
finulicchia di Cathy, e la portinaia si gustava la scena di questo Hulk sempre
verde dalla rabbia, e di Cathy, seminuda, dietro le tende svolazzanti colore
della carta velina - troppo vento presero e infatti, in questo racconto, dopo grandi incazzature (e quando
sembra che gli obiettivi siano per essere raggiunti), si schiatta, ma almeno
romanticamente si trova ristoro in una bella sepoltura gentilizia, che dalla
balata istoriata manco uno spiffero di vento tempestoso ci passava.
Insomma
meno male che oggi con un sms e un colpettino di whatsapp le risposte arrivano
all’istante, le donne non sospirano più e nonostante gli ospedali spesso
sembrino ancora dei lazzaretti, la tisi è stata sconfitta.
Adele
Musso