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mercoledì 6 aprile 2016

Angelica alla parata garibaldina - Il Gattopardo raccontato dalle cameriere

Augusta si segna prima di entrare nella stanza della principessa. Le rare volte che ha dovuto svegliarla presto è stata di un umore che avrebbe fatto scappare il diavolo. E si segna di nuovo. Non è compito per la cameriera giovane che aspetta nel corridoio con il vassoio della colazione. 
“Eccellenza…Buongiorno. E’ l’ora di alzarsi. Eccellenza?”
Un grugnito dalle coperte le conferma che l’eccellenza ha sentito.
Quando era viva la principessa Stella, non era un problema per lei alzarsi all’alba per le preghiere del mattinale. Anzi tutta la servitù la seguiva volentieri nelle litanie. Ma erano altri tempi, timorati di Dio. Quest’altra principessa se l’era scordato che suo nonno era Peppe detto Merda che all’alba se ne stava già nei campi. Genìa di contadinazzi arricchiti che fanno presto a riempirsi di profumo per nascondere il lezzo del concime. E quante fisime. Non si diventa una signora facendo i capricci. Gesummaria. E si segna per la terza volta prima di scostare di botto le pesanti cortine di broccato. Ora sì che siirrita davvero. Augusta sorride di nascosto per il piccolo dispetto, guardando il cielo splendente di sole primaverile.

“Augusta. Chiudi subito. Lo sai che mi dà fastidio tutta questa luce”
“Eccellenza, è una splendida giornata. Vossia non è contenta di sapere che c’è il sole e che la parata si farà come previsto? Si ricorda ieri che nuvoloni? Nostro Signore pareva seccato di vedere passare tutti questi garibaldini senzadio davanti alla Cattedrale…ma ora deve avere cambiato idea pure lui.”
Augusta si segna di nuovo, forse è stata troppo sincera e l’Altissimo potrebbe risentirsi.
“Ma di che vai blaterando vecchia? Non passeranno davanti alla Cattedrale. Aiutami ad alzarmi piuttosto.”
Angelica ha un’età, ormai, e Augusta è anche più anziana di lei. Ne ha visti di Salina di varie generazioni, nessuno come don Fabrizio però. Che uomo imponente, già solo con lo sguardo piegava la volontà di tutti in casa, familiari e servitù. Ma Augusta non si dispiaceva di obbedirgli. La voce del principe era per lei la voce di Dio e del re. Il re borbone, l’unico vero re scelto dal Signore. Erano passati cinquant’anni dalla nascita del regno d’Italia, ma per Augusta i Piemontesi, lei li chiamava sempre così, erano ancora degli invasori, usurpatori del regno in cui era nata.
Batte le mani e la camerierina entra a testa bassa e deposita il vassoio della colazione sul tavolino davanti al letto. Angelica faticosamente, la mattina è sempre un po’ lenta nei movimenti, si abbandona sulla poltroncina di velluto rosso e attende che le versi il latte tiepido prima di mimetizzarsi veloce con la tappezzeria.
“Augusta, vuoi accostare i tendaggi o no?”
“Subito eccellenza.”
Li sposta appena di pochi centimetri guadagnandosi uno sguardaccio di Angelica. Gli occhi verdi sono ancora fiammeggianti e non hanno risentito del tempo, sempre pronti a fulminare come una volta faceva con Tancredi, se eccedeva in galanteria con altre dame, o con la servitù negligente o con il sarto ritardatario, una cosa che ricorda vagamente l’autorità del principe Fabrizio. Ah, sì, Augusta lo sa bene, Angelica  non ha fatto molta fatica ad apprendere quello che le sembrava fosse il carattere distintivo della nobiltà, la durezza nei modi, ma, come chi non discende da un mondo superiore e non ha succhiato nel latte la compiacenza dei re, eccede spesso in arroganza e da’ in escandescenze come la più becera delle lavandaie. Solo fra le mura di casa, però, perché agli occhi attenti degli aristocratici di sangue Angelica dimostratutto quello che in anni di frequentazione di casa Salina ha rubato osservando suocera e cognate: impassibile e misurata, dispensa sorrisi e manina da baciare come se da generazioni non avessero fatto altro le contadine della famiglia Sedara.
“E’ pronto il vestito?”
“Sì, eccellenza, il sarto l’ha consegnato ieri sera.”
“Bene, prepara il bagno.”
“Già pronto, eccellenza.”
Un’ora e mezza dopo Angelica è quasi pronta per la parata. Seduta alla toletta osserva dallo specchio Augusta che le raccoglie i capelli grigi in una crocchia che appunta con decine di forcine.  Ha scelto un abito che ricorda i colori delle divise garibaldine, il corpetto è rosso vivo, con il colletto alto a nascondere le pieghe sul collo, e la gonna in taffetà, nera, a ricordo del fatto che è pur sempre una vedova. Nel cappello ha fatto appuntare un lungo ciuffo di penne di gallo cedrone proprio come quelle dei bersaglieri. L’organizzazione della parata del cinquantenario dello sbarco dei Mille l’ha molto provata con le tante incombenze in cui ha coinvolto anche la riluttante Augusta che diverse volte si è confessata per questo, quasi che infilare nelle buste i cartoncini rosso Garibaldi per gli inviti della principessa fosse un peccato mortale che ha bisogno di tante penitenze.
La stanchezza di Angelica oggi è temperata da un’euforia che traspare sempre più accesa non appena si riprende dalla nebbia del sogno e si avvicina il grande momento. Sarà nel palco d’onore e suo nipote Fabrizietto sfilerà con un grande cartello recante il nome dei Salina. Un grande nome in mezzo ai senzadio. Questo è per Augusta la vera profanazione, il tradimento. Il principe Fabrizio non avrebbe mai permesso questo teatrino. Il nome dei Salina in processione con i garibaldini, violatori di suore e conventi. 
“Augusta, prendi la spilla di brillanti”
“Quale eccellenza?”
“Quella grande. E prendi pure la coccarda.”
Augusta apre il cofanetto e prende la spilla grande, regalo del barone Sedara per i suoi trent’anni. Un arcobaleno di luccichii che manco un sultano delle Mille e una Notte hai mai posseduto. L’ostentazione dei Sedara, baroni del Biscotto. 
Angelica fissa sul corpetto accollato la coccarda e sopra vi appunta la grande spilla.  Il buongusto non si compra, pensa Augusta,  la casata dei Salina cosa ci ha guadagnato da questa popolana mai davvero ripulita dalla merda di suo nonno, nemmeno in cinquant’anni ha imparato le regole del buongusto e della sobrietà. 
Angelica si guarda nello specchio, non sembra molto convinta. 
Che diavoleria sta escogitando adesso…mica vorrà bardare pure la servitù con le coccarde. Augusta la conosce, sa che la sua natura è quella di combinare tresche.
“Augusta, ho cambiato idea. Dammi la spilla dei Salina”
“La spilla dei Salina?”
“Sì, sbrigati”
Augusta si avvia verso il cofanetto delle gioie, ma preferirebbe prendere una purga. Ce l’ha scritto in faccia. Quella spilla rappresenta un cimelio della famiglia, sacra come una reliquia. In mezzo ai delicati ghirigori dei brillanti dal taglio antico campeggia un felino rampante, un gattopardo di smalto nero e oro dagli occhi luccicanti di rubini. Lo stesso dello stemma della casata. Nessuno ricordava più chi l’avesse commissionata. La portavano da almeno due secoli le donne di casa Salina nelle grandi occasioni. Il principe l’aveva personalmente appuntata sulla scollatura del vestito da sposa di Angelica, subito dopo il matrimonio,  non senza disappunto delle figlie e della moglie. 
Ora Angelica rimira nello specchio la sua bella spilla antica bordata dalla seta tricolore della coccarda del regno d’Italia. Ora può andare alla parata, Il senatore Tassoni già da un pezzo l’aspetta per accompagnarla, galante come sempre.
“Il principe sarebbe contento”, la sente sussurrare Augusta, mentre esce dalla stanza,un guizzo furbo negli occhi ancora belli. E Augusta si segna un’altra volta e  invoca mentalmente la beata Corbèra. 

Marisa Vinci