Ecco una mamma è appena uscita di casa, sono le sette e
trentacinque di mattina, un bimbo di mezzo metro che si tiene alla sua mano –
ha la posizione del tedoforo olimpico, anche il passo è uguale, corre corre per
starle appresso.
La mamma indossa una tuta comoda che le servirà fra un’ora
per la palestra. Il bimbo è vestito per benino, mini-jeans con il risvolto e
mini-sneakers rosse, un giubbottino ultimo modello pittibimbo, orologio fuori
misura al polso, trascina un trolley minuscolo, una scatola venti per venti per
dieci, con manico e ruote, a colori fluorescenti.
Va con la sua mamma alla scuola per l’infanzia, come se
fosse pronto per un viaggio. Che viene da pensare, cos’è? un bimbo d’affari, un
omino instancabile di cinquanta centimetri che vola su piccoli aeroplani
costruiti apposta per lui e per quelli come lui. Cosa porterà dentro il suo
mini-bagaglio? una merendina, una mezza banana, piccoli plichi di documenti o
microfilms, forse una bottiglina di acqua.
In viaggio d’affari, magari rappresentante di mattoncini da
costruzione in plastica colorata, oppure responsabile del controllo qualità di
una qualche multinazionale del latte in missione all’estero, con passaporto e ciucciotto.
Hanno una lingua incomprensibile, appartengono a una popolo
diverso da noi, con un parlamento e leggi proprie, vivono in perfetta
integrazione, spesso si fanno mantenere e portare in giro, si spacciano per la nostra
prole, ma fermi sul seggiolino dell’auto, comodamente trasportati da un capo
all’altro della città, continuano a svolgere indisturbati le loro funzioni
diplomatiche o lo spionaggio industriale.
La maestra d’asilo gira lo sguardo verso l’armadietto dei
colori – è un attimo – e già un paio di loro si è fatto occhietto, hanno preso
il mini-taxi per recarsi di corsa al mini-aeroporto, a sbrigare i loro affari. Durante
il viaggio li aspetta almeno un cambio, sarà una giornata impegnativa, tra
riunioni e pappe di lavoro, prima che la mamma ignara torni a prenderli alle
cinque del pomeriggio.
Raimondo Quagliana